domenica 28 marzo 2010

'I mistici dell'Occidente', i Baustelle ritornano a cantare l'umanità

Sono tornati i Baustelle. Quando ho sfiorato per la prima volta ‘I mistici dell’Occidente’, loro quinto lavoro, quasi tremavo, al primo ascolto piangevo; c’è qualcosa di sottile in questo album, una diversa consapevolezza di sé o una maggiore coerenza, che tocca le più profonde parti dell’animo. Dietro l’apparente cripticità dei versi, degna dei migliori poeti ermetici novecenteschi, si nascondono messaggi profondi lanciati ad una società che disprezzano per il materialismo selvaggio nel quale è sfociata: si scagliano dunque contro la mercificazione dell’amore (Groupies, La bambolina, San Francesco), contro la felicità ricercata in un effimero possesso di qualcosa (I mistici dell’Occidente), contro un mondo che va alla deriva ma non senza speranza alcuna; difatti il cd si apre con ‘L’indaco’, un inequivocabile messaggio di speranza cantato da Francesco e Rachele con un andamento da musica sacra, alimentato anche dall’uso iniziale dell’organo.
Il loro è un memento mori ad una società che suo malgrado sembra averlo dimenticato, convinta che la materia alla quale tanto tiene la salverà dalla putrefazione del corpo e dalla dispersione di uno spirito ben poco nutrito.
‘I mistici dell’Occidente’ si presenta come una summa del cammino che i Baustelle hanno percorso sino ad ora, con una miscela perfettamente equilibrata fra spirito e realismo, con riferimenti sia ai più profondi sconvolgimenti dell’Io che ai problemi dell’Italia. È infatti diverso sia dagli immortali ‘Sussidiario illustrato della giovinezza’ (2000) e ‘La moda del lento’ (2003) sia dal più recente ‘Amen’ (2008): Bianconi ha unito le caratteristiche salienti del loro passato e del loro presente per farli giungere laddove solo i più grandi mistici possono.
La band senese, superata l’acerbità dei primi anni, ha finalmente imboccato la via verso la quale si dirigeva sin dall’inizio: con un occhio rivolto alle crisi interiori e uno al rapporto fra l’anima consapevole di sé e la società, i Baustelle cantano con una chiarezza immacolata una fase della storia umana nella quale l’intellettuale, il mistico occidentale si salva solo ricercando e amando la bellezza.
Ascoltarli dà le emozioni di sempre: una pace dei sensi, un’intensa commozione, la sensazione che la musica con loro ritorni finalmente ad essere l’arte suprema e completa che era per i Greci. Ritroviamo dunque le loro due facce, ma con il salto di qualità (che solo l’esperienza poteva donargli) di averle sapute porre non in contrasto bensì unite; l’uomo e la società diventano così inscindibili, ed anche l’intellettuale, il fan-tipo dei Baustelle, benché diviso dai suoi simili in decadenza morale e spirituale, ha il suo posto in essa. Non è infatti un misticismo, un disprezzo fine a se stesso, ma un invito ad aprire gli occhi a chi ancora ha le pastoie e un forte monito a lottare (La canzone della rivoluzione): insomma, ‘siamo niente, siamo solo cecità, pesci avvelenati in mezzo al mare, forse questo il presidente non lo sa’.
Quindi, essere umano, ricordati che devi morire.

Voto: 9/10

ALLEGRA GERMINARIO


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