ALICE IN WONDERLAND (id., USA 2010) di Tim Burton con Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bohnam Carter, Anne Hathaway, Michael Sheen FANTASTICO - Tutti i suoi fan si chiedevano quando sarebbe successo, quando finalmente Tim Burton avrebbe abbandonato il genere del quale è ormai il regista per antonomasia dandoci prova del suo talento in ambiti leggermente diversi.
Dopo anni di onorata carriera e dopo aver ispirato generazioni con i suoi personaggi cupi e psicologicamente sfaccettati, con gli scenari gotici e fiabeschi, con la perenne lotta bene-male, il regista statunitense ritorna a far parlare di sé e della sua ecletticità con ‘Alice in Wonderland’, le rocambolesche vicende di un’Alice (Mia Wasikowska) ormai diciannovenne sempre nel Paese delle meraviglie; scontato dunque che le aspettative fossero alte e che non tutti ne siano rimasti soddisfatti.
Bisogna perciò premettere che questo non è il consueto film burtoniano: qui non c’è nessuno scheletro che vuole sostituire Babbo Natale, nessun barbiere sanguinario né un cavaliere senza testa animato dalla sete di vendetta; è dunque più che normale restare interdetti da una pellicola che non solo è in 3D ma che addirittura affronta temi del tutto diversi e per una volta da una prospettiva di luminosa speranza.
Nonostante questo non sia l’Alice di Lewis Carroll, i caratteri fondamentali della trama e dei personaggi rimangono pressoché invariati, difatti la storia è caratterizzata dagli eccessi: quello del bene nella Regina Bianca (Anne Hathaway "Pretty Princess", "Il diavolo veste Prada"), stucchevole e ammaliante, quello del male nella Regina Rossa, viziata ed egoista, quello della pazzia nel Cappellaio (Johnny Depp "Il mistero di Sleepy Hollow", "Chocolat"), tanto saggio quanto folle.
Burton ha sviluppato la storia in maniera lineare, senza colpi di scena, soffermandosi più su di un adeguato sviluppo caratteriale e psicologico dei personaggi salienti che su di una trama innovativa; particolare rilevo è stato dato al paradosso dei dialoghi, ma anche questo era già insito nel romanzo di Carroll. Il regista aveva infatti dichiarato che il suo obiettivo era quello di discostarsi il meno possibile dall’originale Alice, cosa che nessuna trasposizione cinematografica era sinora riuscita a fare.
In fondo lo scopo del film, oltre a quello di far passare allo spettatore due ore piacevoli in un mondo fantastico, è di far giungere il messaggio dell’assenza dell’impossibile. La stravaganza di Wonderland non è altro che un riflesso preciso di quel caos interiore che certe volte rischia di sopraffarci, quando talvolta sarebbe tanto più semplice e rilassante ballare la deliranza con un affascinante Cappellaio matto o bere del the con il Bianconiglio piuttosto che affrontare la nostra vita, oppure quando tutto quanto ci sembra rovesciato in una maniera sì ridicola ma anche assolutamente inquietante; eppure qualcosa questo strambo mondo può insegnarci, ossia che il confine fra sogno e realtà è labile, ma soprattutto che a definirlo siamo solo noi in quanto protagonisti tanto della nostra quotidianità effettiva che di quella onirica.
Passaggio fondamentale del film è appunto quando Alice rifiuta di obbedire ciecamente a quello che l’oracolo ha predetto per lei per diventare protagonista effettiva della storia e recuperare un po’ di quella ‘moltezza’, che a detta del Cappellaio ha perduto crescendo.
Per ammissione di Burton stesso, era la prima volta che si cimentava in un’opera del genere e tutto sommato ritengo che non sia stato una delusione. È riuscito a dare un suo tocco personale alla storia, un po’ per l’estro deppiano (la scena del ballo della deliranza era fantastica), un po’ per gli effetti speciali ben fatti, pur non modificandola nella sua sostanza.
Nella sua particolarità non è il suo miglior film, ma sinceramente io aspettavo con trepidazione che deviasse da una via che aveva percorso sin troppo a lungo, come ci si aspetta d’altronde da un artista completo e che sa rinnovarsi.
Un gran peccato per l’interpretazione di Mia Wasikowska (Alice), che ho trovato insipida e mal truccata (il suo finto pallore ricordava in maniera inappropriata e ridicola quello degli pseudo vampiri di Twilight!), decisamente inferiore rispetto a quella degli altri attori: l’immortale Depp, l’immancabile Bonham Carter, la sorprendente Hathaway, tutti quanti si sono immedesimati a tal punto nei personaggi che sembrano essere fuoriusciti direttamente dalla mente di Carroll per recitare sul grande schermo un ruolo per loro scontato.
Tuttavia alla fine c’è un altro messaggio, forse più sottile, ma ugualmente importante: Alice ritorna nel suo mondo per adempiere ai suoi doveri e ‘rendere utile la sua vita’, rinunciando alle serene tentatrici della deliranza. Ella è ormai cresciuta e sa dare una giusta prospettiva alle cose, motivo per il quale anche se a malincuore non resta; come è stato per Alice, anche per tutti noi arriva il momento di ridimensionare la realtà, crescere e decidere cosa è sogno e cosa no, cosa lasciarci alle spalle e cosa portare con noi. Perché nulla è impossibile, eccetto sfuggire alla vita, sia essa a Wonderland o no.
Bisogna perciò premettere che questo non è il consueto film burtoniano: qui non c’è nessuno scheletro che vuole sostituire Babbo Natale, nessun barbiere sanguinario né un cavaliere senza testa animato dalla sete di vendetta; è dunque più che normale restare interdetti da una pellicola che non solo è in 3D ma che addirittura affronta temi del tutto diversi e per una volta da una prospettiva di luminosa speranza.
Nonostante questo non sia l’Alice di Lewis Carroll, i caratteri fondamentali della trama e dei personaggi rimangono pressoché invariati, difatti la storia è caratterizzata dagli eccessi: quello del bene nella Regina Bianca (Anne Hathaway "Pretty Princess", "Il diavolo veste Prada"), stucchevole e ammaliante, quello del male nella Regina Rossa, viziata ed egoista, quello della pazzia nel Cappellaio (Johnny Depp "Il mistero di Sleepy Hollow", "Chocolat"), tanto saggio quanto folle.
Burton ha sviluppato la storia in maniera lineare, senza colpi di scena, soffermandosi più su di un adeguato sviluppo caratteriale e psicologico dei personaggi salienti che su di una trama innovativa; particolare rilevo è stato dato al paradosso dei dialoghi, ma anche questo era già insito nel romanzo di Carroll. Il regista aveva infatti dichiarato che il suo obiettivo era quello di discostarsi il meno possibile dall’originale Alice, cosa che nessuna trasposizione cinematografica era sinora riuscita a fare.
In fondo lo scopo del film, oltre a quello di far passare allo spettatore due ore piacevoli in un mondo fantastico, è di far giungere il messaggio dell’assenza dell’impossibile. La stravaganza di Wonderland non è altro che un riflesso preciso di quel caos interiore che certe volte rischia di sopraffarci, quando talvolta sarebbe tanto più semplice e rilassante ballare la deliranza con un affascinante Cappellaio matto o bere del the con il Bianconiglio piuttosto che affrontare la nostra vita, oppure quando tutto quanto ci sembra rovesciato in una maniera sì ridicola ma anche assolutamente inquietante; eppure qualcosa questo strambo mondo può insegnarci, ossia che il confine fra sogno e realtà è labile, ma soprattutto che a definirlo siamo solo noi in quanto protagonisti tanto della nostra quotidianità effettiva che di quella onirica.
Passaggio fondamentale del film è appunto quando Alice rifiuta di obbedire ciecamente a quello che l’oracolo ha predetto per lei per diventare protagonista effettiva della storia e recuperare un po’ di quella ‘moltezza’, che a detta del Cappellaio ha perduto crescendo.
Per ammissione di Burton stesso, era la prima volta che si cimentava in un’opera del genere e tutto sommato ritengo che non sia stato una delusione. È riuscito a dare un suo tocco personale alla storia, un po’ per l’estro deppiano (la scena del ballo della deliranza era fantastica), un po’ per gli effetti speciali ben fatti, pur non modificandola nella sua sostanza.
Nella sua particolarità non è il suo miglior film, ma sinceramente io aspettavo con trepidazione che deviasse da una via che aveva percorso sin troppo a lungo, come ci si aspetta d’altronde da un artista completo e che sa rinnovarsi.
Un gran peccato per l’interpretazione di Mia Wasikowska (Alice), che ho trovato insipida e mal truccata (il suo finto pallore ricordava in maniera inappropriata e ridicola quello degli pseudo vampiri di Twilight!), decisamente inferiore rispetto a quella degli altri attori: l’immortale Depp, l’immancabile Bonham Carter, la sorprendente Hathaway, tutti quanti si sono immedesimati a tal punto nei personaggi che sembrano essere fuoriusciti direttamente dalla mente di Carroll per recitare sul grande schermo un ruolo per loro scontato.
Tuttavia alla fine c’è un altro messaggio, forse più sottile, ma ugualmente importante: Alice ritorna nel suo mondo per adempiere ai suoi doveri e ‘rendere utile la sua vita’, rinunciando alle serene tentatrici della deliranza. Ella è ormai cresciuta e sa dare una giusta prospettiva alle cose, motivo per il quale anche se a malincuore non resta; come è stato per Alice, anche per tutti noi arriva il momento di ridimensionare la realtà, crescere e decidere cosa è sogno e cosa no, cosa lasciarci alle spalle e cosa portare con noi. Perché nulla è impossibile, eccetto sfuggire alla vita, sia essa a Wonderland o no.
Voto: 7.5/10
ALLEGRA GERMINARIO
ALLEGRA GERMINARIO
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