martedì 30 marzo 2010

Percy Jackson e gli Dei dell'Olimpo- il ladro di fulmini

PERCY JACKSON E GLI DEI DELL’OLIMPO- IL LADRO DI FULMINI (Percy Jackson & the Olimpians: the lightning thief, USA 2009) di Chris Columbus con Logan Lerman, Brandon T. Jackson, Alexandra Daddario, Pierce Brosnan, Catherine Keener, Uma Thurman, Joe Pantoliano FANTASY- Presentato come il nuovo Harry Potter nella speranza di eguagliare i risultati economici del maghetto, con un’operazione già invano tentata con “La bussola d’oro”, la saga di Percy Jackson di cui questo film costituisce il primo capitolo, è stata scritta dall’americano Rick Riordan ed in effetti presenta svariati punti in comune con il ben più famoso predecessore. Almeno stando alla sua versione cinematografica. L’elemento veramente interessante è però il ripescaggio delle figure degli dei dell’Olimpo, che più di ogni altra divinità venerata dall’uomo nei secoli, hanno costituito fonte di intrattenimento per cinema e tv –dai vecchi peplum sino a “Xena principessa guerriera” ed “Hercules” e passando per il cartone “Pollon”- e che si apprestano a ritornare in auge sul grande schermo con il 3D di “Scontro tra titani” e “War of Gods”. Entrambi progetti che constano di un cast notevole, soprattutto in ambito divinità: e Percy Jackson non fa eccezione. Percy (Logan Lerman) è un teenager infelice che, accusato di aver rubato la folgore e quindi il potere principale di Zeus (Sean Bean “Il signore degli anelli”, il remake di “The Hitcher”), scopre di essere figlio del dio dei mari Poseidone (Kevin McKidd “Grey’s Anatomy”) e si trova a dover recuperare la folgore e a dover discendere negli Inferi per salvare sua madre rapita da Ade (Steve Coogan) e il mondo da una guerra tra dei. Lo aiuteranno il suo amico e protettore Grover (Brandon T. Jackson) e la figlia della dea Athena Annabeth (Alexandra Daddario), dopo un breve addestramento sotto l’occhio vigile di Chirone (l'ex 007 Pierce Brosnan): i tre si troveranno a fronteggiare una serie di pericoli di ispirazione classica, tra i quali troveremo Medusa (Uma Thurman “Vatel”, “Kill Bill”). Ambientato quindi tra il mondo degli umani e quello classico della mitologia greca, non per nulla due dei tre giovani protagonisti sono semidei come molti eroi dell’antichità, il film si divide tra un’atmosfera greca e mitologica ed una più tipicamente americana e moderna fatta di fast food, motel, riproduzioni di monumenti e Las Vegas. Le similitudini con il signor Potter in effetti ci sono e saltano subito all’occhio: anche Percy non ha alle spalle una famiglia anche se a lui manca solo il padre, sarà aiutato nella sua impresa da due amici, sarà erudito in una scuola apposita per semidei e scoprirà ben presto abilità straordinarie e un eroismo che mai avrebbe pensato di avere. Nonostante ciò il film risulta un piacevole intrattenimento per giovanissimi –complice un’atmosfera meno oscura di Potter- e non, anche per alcune azzeccate situazioni comiche sparse al suo interno (scarpe Converse volanti, il posizionamento dell’entrata degli Inferi!), guastato però da effetti speciali non sempre all’altezza, una eccessiva sbrigatività nel risolvere certe situazioni, una trama troppo semplicistica e lineare e un protagonista non molto convincente nella sua interpretazione. Insomma un film dagli evidenti difetti e privo del fascino della saga della Rowling, ma a suo modo piacevole e innovativo, con tutti i limiti del caso. Bella l’idea di affidare ruoli più o meno secondari ad attori di una certa fama, come Rosario Dawson (“Sin City”) nei panni di Persefone e Joe Pantoliano (“Bad boys”) in quelli del patrigno di Percy, come peraltro già era stato fatto per la saga di Harry Potter e come si è già iniziato a fare da tempo per questi film a lunga serialità. Senza però dimenticare che la regia di questo “Percy Jackson” è dello specialista di film per ragazzi Chris Columbus già autore dei primi due Potter, nonché di classici come “Mamma ho perso l’aereo”. Una garanzia insomma, aspettando un seguito delle avventure di Percy che verrà probabilmente girato, visto l’incasso di oltre 200 milioni di dollari a fronte di una spesa di circa 100.
Voto: 7/10
CLIZIA GERMINARIO



lunedì 29 marzo 2010

Speciale Jimmy Hendrix

Jimmy Hendrix. E’ inutile dichiarare chi lui fosse. Il suo nome è leggenda. Quasi una divinità della musica degli anni 60’, artista inarrivabile. Contorsionista del suono. Un mito. La sua bravura ineguagliabile di chitarrista fu l’unica arma che gli diede modo di farsi strada attraverso la giungla che è questo mondo. In particolar modo negli anni in cui visse. Hendrix nacque a Seattle il 27 novembre del 1942, anni difficili per chi nasceva con la pelle scura. Ancor più difficile fu la vita del giovane Hendrix per la famiglia, che viveva disagi economici e non inimmaginabili. Per svariati anni fu costretto a vivere con sua nonna mentre i genitori si barcamenavano in migliaia di lavori per tirare avanti. La difficoltà della sua vita, probabilmente resa ancor più difficile dai problemi sociali che attraversavano l’America di quegli anni forse cominciarono a farsi meno opprimenti quando Hendrix ricevette in dono per i suoi dodici anni la sua prima chitarra elettrica (che sempre ricordò affettuosamente dandogli il nome di ‘Al’); con essa cominciò a suonare le sue prime note, cosa che proseguì fino al momento della sua morte. Perse la madre a soli quindici anni e poco dopo fu espulso da scuola per motivi probabilmente razziali. Da questo momento cominciò una vita dedita ai vagabondaggi e alla musica. I pochi soldi che riusciva a guadagnare derivavano dalle sue esibizioni, che lo portarono a divenire ben presto il chitarrista di personalità dell’epoca quali Little Richard o Tina Turner. Nel '65 forma la sua prima band stabile e si esibisce nei quartieri di Greenwich Village. Poco dopo viene notato e portato a Londra da Chas Chandler, suo manager che porterà alla formazione della Jimmy Hendrix experience, band formata da formata da Mitch Mitchell alla batteria e Noel Redding al basso. Questa formazione accompagnerà la carriera di Hendrix fino al 1969, quando si scioglie dopo aver composto tre LP dal successo indiscusso fino ai nostri giorni. Ad agosto Hendrix trionferà a Woodstock suonando una sua personale versione dell’inno americano ("Star spangled banner"), composto di suoni distorti. Grazie alla sua chitarra riprodurrà anche i suoni delle bombe, per ricordare la guerra combattuta in quello stesso periodo nel Vietnam, in una delle performance più famose della storia della musica. Più tardi formerà una nuova band, la “Band of Gypsys” che scioglierà a breve per riprendere la vecchia formazione. Sempre ne 1970 comincerà la registrazione di un nuovo LP, che non avrà mai la possibilità di terminare. Jimmy Hendrix muore il 18 settembre del 1970 a Londra nella sua camera di hotel soffocato dal suo vomito dopo un’overdose di barbiturici.
La grandezza di questo signore del rock, il suo sound rock e blues, le innovazioni che riuscì a portare nella musica, nulla è sufficiente a “spiegarlo”. La grandezza di Hendrix sta anche nell’avere infranto le barriere sociali che separavano i neri dai bianchi in maniera vergognosamente radicata, ma non solo. Le sue performance non hanno nulla di paragonabile a nessun cantante moderno o antico. La sua capacità di utilizzare la sua intera essenza nel suonare lo hanno reso davvero la più grande stella che il rock abbia mai avuto. Persino la sua prorompente sessualità ha giocato un ruolo fondamentale in questa sua ascesa verso l’olimpo della musica. La grandezza di Hendrix viene celebrata a quarant’anni dalla sua scomparsa con l’uscita, avvenuta lo scorso 9 marzo di “Valley of Neptune”, cd di inediti contenente una canzone che Hendrix suonava prima di diventare famoso, durante le esibizioni al Greenwich Village. “'Mr. Bad Luck'”. Le sue tipiche sonorità non vengono tradite in questa raccolta che ci dimostra nuovamente come Hendrix ardesse di una fiamma che lo fece vivere tutto d’un fiato, ma che lo bruciò prima che potesse dimostrare cos’altro potesse diventare. Cos’altro potesse inventare. Ma nulla del suo lavoro potrà mai essere dimenticato, poiché la sua grandezza trascende tempo e generazioni. Così come allora, adesso.

STEFANO CARBONE


Goya e il mondo moderno

Presso Palazzo Reale a Milano: a pochi passi dallo stesso Duomo, dal 5 Marzo al 27 Giugno si svolge l’esposizione ‘Goya e il mondo moderno’.
L’intento della mostra è di proporre un parallelismo tra Francisco Goya e i pittori a lui successivi; proposta pienamente coronata dall’affiancamento alle sue opere, che aprono il percorso artistico della mostra,a dipinti di autori di epoca successiva. Celebre pittore spagnolo, nato a Fuendetodos, presso Saragozza il 30 marzo 1746 visse durante la rivoluzione francese, evento che infuenzò non poco la vita della sua terra. La mostra è suddivisa in cinque sezioni, rappresentanti di cinque temi fondamentali affrontati nei quadri esposti al loro interno: la vita di tutti i giorni, comico e grottesco, la violenza, il grido. I quattro temi ci consentono di visionare opere dal tremendo impatto emotivo, ma dalla forza espressiva innegabilmente travolgente, capace di spiazzare anche il più critico dei visitatori. La capacità di Goya di rappresentare i suoi soggetti nell’attimo in cui più la loro umanità è allo scoperto, eliminando ogni difesa superficiale, ben si collega con le rappresentazioni (propria sia del pittore spagnolo che di coloro i quali vennero dopo di lui) della guerra, ove nessuno è vittima o carnefice, vincitore o vinto. C’è solo morte e abominio. Goya del resto, oltre ad avere ispirato molti autori successivi per i temi da lui affrontati (guerra, libertà, sogno, simbolismo) è anche considerato il “padre” dell’impressionismo. Non tanto per la scala cromatica da lui utilizzata nei suoi dipinti, tendente per lo più al nero e marrone scuro. Colori che si oppongono categoricamente a quelli utilizzati dagli impressionisti, famosi per la vivacità e luminosità dei colori dei loro quadri. Piuttosto, le ragioni della diretta discendenza dell’impressionismo da Goya sono da ricercare nel tratto utilizzato dal pittore per la realizzazione dei suoi dipinti. Pennellate rapide e vibranti. Tecnica che si andrà ad utilizzare spesso nelle scuole pittoriche successive, e la deformazione della realtà per evidenziare il fulcro della rappresentazione. Interessante è anche la collezione di incisioni ad acquaforte raccolte nella mostra, realizzate dallo stesso Goya e raffiguranti sogni e immagini di guerra. Nelle sale successive, nelle quali ci si allontana temporalmente dall’opera di Goya, troviamo la stoltezza della guerra rappresentata in quadri che raffigurano immagini di donne distrutte dal dolore per la morte dei figli che tengono fra le braccia, sapiente rimando alla celeberrima pietà di Michelangelo, rielaborata per il lutto dei conflitti mondiali, o quadri che rappresentano lo sciacallo del capitalismo che si ciba dei cadaveri delle guerre mondiali per il suo sostentamento, o dipinti che raffigurano i morti nei campi di concentramento, ennesima distruzione apportata dall’uomo contro se stesso in spirito e corpo. Contro l’uomo in quanto tale. Denuncia e dolore. Cordoglio e disprezzo per i reggimi, soffocatori della libertà e della dignità di vivere.
L’ultima parte dell’esposizione ci conduce attraverso la rivisitazione da parte di artisti del calibro di Jason Pollock, di opere di Goya che contengono solo un accenno di ciò che erano all’epoca; inebriati dalle visioni dei nuovi grandi artisti dell’epoca contemporanea.
Questa mostra, estremamente estesa e copiosa, artisticamente parlando, ci mostra un Goya anticonformista e deciso a denunciare attraverso la sua arte le atrocità del conflitto e tutta l’ipocrisia pseudo-eroica che c’è dietro ad esso. Concetto ben più moderno di quanto ci si potrebbe aspettare da un pittore vissuto nel diciannovesimo secolo. La tagliante capacità di rappresentare il dolore e la rabbia contro il genocidio e le guerre mondiali mostrateci , in contemporanea, dagli altri artisti esposti, ci dimostrano ancora una volta come l’arte sia in grado di trasmettere emozione e pensiero più di mille parole, e quanta forza, sensibilità e desiderio di cambiare le cose ci sia in chi fa proprio questo magnifico linguaggio immortale.

Una mostra da non perdere.


STEFANO CARBONE


Orari mostra: Lunedì 14.30 – 19.30
Martedì, Mercoledì, Venerdì e Domenica 09.30 – 19.30
Giovedi e Sabato 9.30 – 22.30


Per informazioni:http://www.comune.milano.it/dseserver/webcity/portale/palreale.nsf/index.htm?readForm&settore=MCOI-66DHPH_HP

Gli Atroci: "Metallo o Morte" tour‏


Il titolo del tour (dall'omonimo album pubblicato il 13 settembre scorso) lascia già intendere di cosa stiamo parlando. Gli Atroci, composti da Il Profeta (voce), La Bestia Assatanata (chitarra), Il Lurido Cavernicolo (batteria), L'Orrendo Maniscalco (basso) il Nano Merlino e il Boia Malefico (cori e coreografie) hanno riscontrato un enorme successo sia tra gli amanti del genere metal che non per la loro esasperazione delle “usanze metallare” supportate dal livello musicale tecnico a dir poco eccellente (una nota di merito particolare a batterista e chitarrista) e dalla qualità e originalità dei testi. Gli Atroci, originari di Bologna, non nascono. Questo è quello che raccontano nella loro biografia pseudo biblica e a tratti eroica nella quale concettualizzano perfettamente la loro musica. Così si narra di un fantomatico professor Tetro, abitante della quinta dimensione totalmente composta di metallo, che, intento nell'aggiustare il suo scaldabagno ipertecnologico viene catapultato sulla terra, dove scopre con immenso orrore che esistono altri generi musicali oltre il metallo. Così decide di radunare sei eroi immortali per cominciare una vera e propria guerra alla musica diffondendo il “verbo” del metallo. Ed è esattamente di questo che ascolterete in testi come guerrieri del metallo, morte alla techno, I dieci metallamenti (torniamo alla comparazione del metallo al Verbo divino) e quel mazzolin di borchie. Certo, I titoli dei brani sono già una garanzia dell'ironia espressa Il metallaro viene inteso come una persona dall'igiene dubbia, violenta e rabbiosa, che però di contro non riesce a vincere le battaglie che scatena, per avvenimenti assurdi come problemi intestinali. Non tutti I testi però narrano le gesta contro I truzzi. Altri ancora più demenziali rendono “metal” addirittura I fagioli (sento I fagioli spingere), una forma fisica non proprio longilinea (pezzi di panza), e addirittura un fraintendimento con il parrucchiere che per errore riduce a scalpo la chioma fluente del metallaro (volevo un taglio semplice). Insomma una caricatura intelligente, non offensiva (considerando che tra I fans ne scoverete molti di amanti del metal), non scontata e realizzata alla perfezione nei live, con tanto di costumi e coreografie. Una “dissacrazione” della figura dura e imperturbabile di quelli che erano anche I grandi musicisti simbolo della musica metal. Potrete avere un assaggio del mondo degli Atroci visitando il loro sito http://www.gliatroci.com/ e acquistare gadget e cd (purtroppo difficili da reperirediversamente), il loro Myspace e www.myspace.com/gliatrociofficialpage e su facebook, o meglio ancora seguendoli nelle date (ancora in fase di pubblicazione a quanto pare) del tour metallo o morte che prevede al momento solo altre due date, precisamente il 15 aprile presso il “Gasoline” di Castegnato (bs) e al Rock Club di Ronchi dei Legionari (go) il 15 maggio.

VALENTINA CROCITTO






domenica 28 marzo 2010

Pan brioche:


-500g di farina
-100g di olio
-100g di latte
-2 uova intere
-2 cucchiai rasi di zucchero
-1 lievito di birra
-1 pizzico di sale

Per farcire:
-ripieno a scelta

Dopo aver impastato gli ingredienti (il lievito deve essere sciolto versandoci sopra il latte tiepido) dividere il tutto in due panetti, stendere la pasta piuttosto sottile e formare un cerchio o un rettangolo. Prendere un panetto e mettere su di una metà il ripieno desiderato e chiuderlo come fosse un panzerotto. Se necessario ci può aiutare a sigillare i bordi l’applicazione all’interno del bordo stesso di un composto fatto di tuorlo d’uovo e poca acqua. Ripetere l’operazione con l’altro panetto. Lasciare lievitare per tre ore in un luogo asciutto e privo di correnti d’aria (il forno spento andrà benissimo) su una teglia coperta da carta forno. Prima di infornare passare sui panetti un tuorlo d’uovo sbattuto con un goccio d’acqua per dorarne la superficie che andrà poi bucherellata con una forchetta. Cuocere a 180° per 20 minuti circa. Consigliato un ripieno a base di sottiletta (serviranno circa 7 fette per pan brioche) e prosciutto cotto, ma ci si può sbizzarrire.


CLIZIA GERMINARIO

'I mistici dell'Occidente', i Baustelle ritornano a cantare l'umanità

Sono tornati i Baustelle. Quando ho sfiorato per la prima volta ‘I mistici dell’Occidente’, loro quinto lavoro, quasi tremavo, al primo ascolto piangevo; c’è qualcosa di sottile in questo album, una diversa consapevolezza di sé o una maggiore coerenza, che tocca le più profonde parti dell’animo. Dietro l’apparente cripticità dei versi, degna dei migliori poeti ermetici novecenteschi, si nascondono messaggi profondi lanciati ad una società che disprezzano per il materialismo selvaggio nel quale è sfociata: si scagliano dunque contro la mercificazione dell’amore (Groupies, La bambolina, San Francesco), contro la felicità ricercata in un effimero possesso di qualcosa (I mistici dell’Occidente), contro un mondo che va alla deriva ma non senza speranza alcuna; difatti il cd si apre con ‘L’indaco’, un inequivocabile messaggio di speranza cantato da Francesco e Rachele con un andamento da musica sacra, alimentato anche dall’uso iniziale dell’organo.
Il loro è un memento mori ad una società che suo malgrado sembra averlo dimenticato, convinta che la materia alla quale tanto tiene la salverà dalla putrefazione del corpo e dalla dispersione di uno spirito ben poco nutrito.
‘I mistici dell’Occidente’ si presenta come una summa del cammino che i Baustelle hanno percorso sino ad ora, con una miscela perfettamente equilibrata fra spirito e realismo, con riferimenti sia ai più profondi sconvolgimenti dell’Io che ai problemi dell’Italia. È infatti diverso sia dagli immortali ‘Sussidiario illustrato della giovinezza’ (2000) e ‘La moda del lento’ (2003) sia dal più recente ‘Amen’ (2008): Bianconi ha unito le caratteristiche salienti del loro passato e del loro presente per farli giungere laddove solo i più grandi mistici possono.
La band senese, superata l’acerbità dei primi anni, ha finalmente imboccato la via verso la quale si dirigeva sin dall’inizio: con un occhio rivolto alle crisi interiori e uno al rapporto fra l’anima consapevole di sé e la società, i Baustelle cantano con una chiarezza immacolata una fase della storia umana nella quale l’intellettuale, il mistico occidentale si salva solo ricercando e amando la bellezza.
Ascoltarli dà le emozioni di sempre: una pace dei sensi, un’intensa commozione, la sensazione che la musica con loro ritorni finalmente ad essere l’arte suprema e completa che era per i Greci. Ritroviamo dunque le loro due facce, ma con il salto di qualità (che solo l’esperienza poteva donargli) di averle sapute porre non in contrasto bensì unite; l’uomo e la società diventano così inscindibili, ed anche l’intellettuale, il fan-tipo dei Baustelle, benché diviso dai suoi simili in decadenza morale e spirituale, ha il suo posto in essa. Non è infatti un misticismo, un disprezzo fine a se stesso, ma un invito ad aprire gli occhi a chi ancora ha le pastoie e un forte monito a lottare (La canzone della rivoluzione): insomma, ‘siamo niente, siamo solo cecità, pesci avvelenati in mezzo al mare, forse questo il presidente non lo sa’.
Quindi, essere umano, ricordati che devi morire.

Voto: 9/10

ALLEGRA GERMINARIO


E' complicato

E' COMPLICATO (It’s complicated, USA 2009) di Nancy Meyers con Meryl Streep, Alec Baldwin, Steve Martin, Lake Bell, John Krasinski COMMEDIA - Nel folto panorama di commedie che annualmente Hollywood ci regala, Nancy Meyers (“L’amore non va in vacanza”), regista di questo film, è sempre stata una delle punte di diamante come regista e sceneggiatrice con i suoi lavori accattivanti per trama e cast e Meryl Streep negli ultimi anni le si è accodata nelle vesti però di attrice brillante, sfornando una serie di titoli di grande successo di critica e pubblico (“Prime”, “Mamma mia!” e “Julie & Julia”) che l’hanno portata a diventare nel genere in questione una garanzia ben più delle sue giovani colleghe attrici. Dall’accoppiata di queste due fuoriclasse del grande schermo ci si sarebbe quindi dovuti legittimamente aspettare un discreto risultato, anche viste le premesse di voler raccontare l’amore e il sesso in età matura e per giunta avendo una donna protagonista, un territorio quasi inesplorato insomma. Ma andiamo con ordine: Jane (Meryl Streep “Kramer contro Kramer”, “I ponti di Madison County” e 16 nomination e 2 vittorie agli Oscar alle spalle) è una donna matura divorziata da ormai un decennio da Jake (Alec Baldwin “Caccia a Ottobre Rosso”, ”La ragazza del mio migliore amico”) che all’epoca la tradì con la giovane e bella Agness (Lake Bell “La sposa fantasma”, “Pride and Glory”) con la quale è attualmente e non troppo felicemente sposato. Una sera, complice qualche drink di troppo, finiscono a letto insieme e iniziano così una relazione clandestina interrotta dalla frequentazione che la donna comincerà con il suo architetto pacioso e ancora sofferente per il divorzio Adam (Steve Martin “Ho sposato un fantasma”, “Un ciclone in casa”). Con tutti gli stereotipi che ci si può attendere e che si mettono in conto andando a vedere un film del genere, quali la solita nuova giovane moglie isterica e antipatica, i figli di primo letto buoni, bravi e gentili, le amiche della protagonista stile “Sex and the City” con un decennio buono in più -tra le quali Rita Wilson, moglie di Tom Hanks- era lecito aspettarsi ben di più da una premessa simile e da mestieranti di tal fatta. La Meyers peraltro già anni addietro ci aveva regalato un delizioso film sull’amore e il sesso tra sessantenni: quel “Tutto può succedere” in cui la musa alleniana Diane Keaton finiva per preferire il maturo playboy Jack Nicholson al giovane e affascinante medico interpretato da Keanu Reeves. Quel film però aveva brio, attori convinti e convincenti e una buona sceneggiatura che non ne facevano pesare la notevole lunghezza: esattamente ciò che manca ad “E' complicato”: una Streep forse eccessivamente ridanciana e uno Steve Martin a briglia corta e poco utilizzato per il suo valore, uniti a una cattiva scelta dei comprimari (assolutamente incolore la presenza dei figli di Jane con i loro insipidi interpreti) e ad una sceneggiatura senza guizzi e quasi totalmente priva di situazioni comiche regalano -se così si può dire- al pubblico fiducioso un prodotto mediocre in cui spicca solo il rinato (per quanto ancora?) Alec Baldwin che gigioneggia piacevolmente con il suo personaggio.

Voto: 5/10

CLIZIA GERMINARIO


giovedì 25 marzo 2010

AXORTHecl- Manuel Donada Artshow @ Fabrica Fluxus

Fabrica fluxus colpisce ancora.
Lo scorso mese ha testato la vostra reazione psichica all'esperienza della morte, adesso si reinventa per l'ennesima volta lasciando che diventi protagonista l'esplosione di colori presentata da Manuel Donada con AXORTHecl.
Al vernissage del 12 marzo, si confondeva tra gli “spettatori” presenti. È questo che ci si sente osservando le opere del giovane talento madrileno, che invita il suo pubblico in un folle mondo dai colori vivaci dove l'immaginario e il realistico si miscelano in creature paradossali, ironiche e pungenti. Ogni tela rappresenta uno scorcio di visione quasi grottesca del mondo circostante, dove gli animali diventano umani (li vedremo alle prese di strumenti musicali, accudire animali, fumare), e gli uomini sembrano eroi usciti da fumetti anni '60. Una totale reintrepretazione della vita normale osservata da un punto di vista possibile forse solo in un mondo onirico, burlesco e paradossalmente reale.
Manuel Donada (più conosciuto come le Cadavre), parte come grafico e designer, in seguito a diverse collaborazioni con etichette discografiche, band musicali e riviste. Tra le più importanti, e sicuramente di rilievo per comprendere meglio le influenze dell'artista, quella con cartoon network.
Dal 1999, dopo essere dichiarato uno dei migliori artisti dell'anno dal celebre quotidiano El Pais, inizia la vera e propria ascesa insieme ad una lunga serie di mostre personali in giro per l'Europa.
Il clima accogliente di Fabrica Fluxus vi aiuterà a gustare meglio gli effetti psichedelici delle tele, e la lunga partete decorata dall'artista stesso (potrete vederlo all'opera tramite un video proiettato sul muro d'ingresso) vi darà la sensazione di passeggiare attraverso l'opera.


Bari, galleria Fabrica Fluxus Via Celentano 39 - INGRESSO GRATUITO

dal 12 Marzo al 2 Aprile 2010

ORARI: dal LUN-SAB 10.30-13.30/ 17.00-20.30


VALENTINA CROCITTO





martedì 23 marzo 2010

Concerto 30 Seconds to Mars

Tornano in Italia dopo due anni di assenza (tranne per una premiere del loro ultimo CD lo scorso novembre) i 30 Seconds to Mars, gruppo statunitense capitanato dall’eclettico Jared Leto, già attore e artista di successo (‘Requiem for a dream’, Alexander’, ’Chapter 27’) accompagnato dal fratello Shannon alla batteria, da Tomo Miličević alla chitarra elettrica e tastiere e da Tim Kelleher al basso (non presente nella formazione ufficiale della band). Il concerto, tenutosi il 22 marzo presso il Palasharp di Milano è stato letteralmente preso d’assalto dagli Echelon, i fan dei 30 Seconds to Mars, che si sono presentati in gran numero già dalle prime luci dell’alba (e alcuni da svariati giorni prima) nonostante le difficili condizioni metereologiche. La performance, introdotta dagli SDC (Streat Drums Corps) gruppo dalle sonorità rock ed elettroclash, caratterizzato dalla presenza di varie percussioni, e dai Carpark North, svedesi, dal sound simile a quello dei più celebri ‘Muse’. La direzione tipicamente elettronica scelta per i gruppi di introduzione è sicuramente una traccia delle nuove sonorità utilizzate dai 30 Seconds to Mars nel loro nuovo CD: ’This is War’, promosso dal tour ‘Into the wild’ di cui la tappa di Milano ne costituisce la ventiduesima .
La performance risente della poliedricità artistica di Jared Lato, che lo rendono uno degli show man di più grande rilievo nel panorama musicale mondiale moderno. L’utilizzo di un telo per proiettare le ombre dei componenti della band e degli SDC, che hanno partecipato a tutta l’esibizione, supportandola con le loro percussioni, è uno stratagemma già ampiamente utilizzato da altri gruppi, ma è già da solo in grado di creare un impatto iniziale fortissimo che dà il via al concerto. Vedendo la scenografia del palco, chi già da tempo conosce questo gruppo, avrà probabilmente ripensato, assistendo a questa esibizione, quella avvenuta il 18 ottobre del 2007 per gli ‘mtv video music awards Latinamerica’. Bandiere in fondo al palco e uno schermo che mostra immagini legate alla canzone, e tuttavia è uno spettacolo completamente diverso quello che i 30 Seconds to Mars regalano all’arena milanese. Molto più dinamico delle performance concertistiche precedenti dalle scenografie più semplici. I video proiettati, forniscono anche una indicazione sulla chiave di lettura di alcune canzoni; non solo i video musicali trasmessi dalle TV musicali, ma anche video che mostrano la guerra, le menzogne dei capi di stato (George W.Bush) e le verità degli onesti (Gandhi durante uno sciopero della fame), in questo caso accompagnate dalle note della canzone ‘This is war’ che titola il nuovo CD. Dichiarazione forte e coraggiosa del pensiero che sta dietro alla canzone. Di eccezionale impatto anche la realizzazione di una versione acustica di ‘Hurricane’ di Jared Leto effettuati sugli spalti, fra il pubblico. Le nuove canzoni, dal ritmo disco ed elettronico accoppiate alle celeberrime del secondo album, ’A Beautiful Lie’ sono, come sempre, arrangiate magistralmente da Shannon Leto, la cui bravura nel suonare la batteria è senza ombra di dubbio definibile come ineccepibile, anche grazie all’ energia che impiega e trasmette per/nell’ esibizione; e da Tomo Miličević, di cui possiamo ammirare la bravura anche come polistrumentista ‘addetto’ alla tastiera e anche alle percussioni. Inedita, senza dubbio, in Italia è l’esibizione di Shannon Leto nella prima canzone scritta da lui per il gruppo (‘L490’) completamente strumentale effettuata con la chitarra acustica, accompagnata dalla chitarra elettrica di Tomo Miličević. La voce di Jared, caratterizzata dalla capacità di creare impressionanti vocalizzi e di grande espressione ed estensione, rende tutte le canzoni, anche quando si tratta di inediti o cover, impossibili da non seguire attimo per attimo col fiato sospeso per l’emozione. L’abbigliamento del gruppo, rimanda ai grandi artisti che hanno popolato il panorama musicale del decennio 80’, particolare estremamente indicativo se paragonato alla nuova sonorità espressa dal loro ultimo lavoro musicale. L’ultima esibizione ha visto il gruppo realizzare la canzone ‘Kings and Queens’ dal grande successo mediatico, è accompagnata da un’iniziativa del frontman: i primi venti che si fossero precipitati sul palco avrebbero potuto cantare con loro. Promessa che ha mantenuto appieno, consentendo ai venti (per lo più appartenenti alla prime file) di stare con loro sul palco durante l’ultima canzone del concerto. La poderosa energia utilizzata dalla band durante l’unica data italiana del tour, riconferma la loro bravura professionale e la poliedricità che ne costituiscono i fondamenti del loro successo. Non temiamo di affermare che questo è uno dei gruppi più promettenti degli ultimi dieci anni.


STEFANO CARBONE



XBlade

“Sei scarso”. Con questa frase ci viene presentato Haru, il protagonista di ‘XBlade’: scritto da Tatsuhiko Ida e con i dinamici disegni di Satoshi Shiki, già noto in Italia per aver illustrato ‘Kamikaze’. Il manga, pubblicato da GP Galaxy, fa il suo debutto questo mese in tutte le fumetterie Italiane. In una Tokyo reduce da un tragico cataclisma che ne ha cambiato radicalmente la vita degli abitanti, il protagonista, un ragazzo dalle doti combattive eccezionali (come impone la tradizione dei migliori action-manga), rimasto orfano, vivrà un incontro inaspettato e movimentato con Mana, una ragazza in grado di tramutarsi in spada.
I risvolti della vicenda ci condurranno in una serie di combattimenti che non appesantiscono per nulla la storia, ciò anche grazie alla magistrale abilità del maestro Shiki. Gli elementi comici, incarnati dalle due amiche di Haru, ci daranno modo di farci anche qualche risata in puro stile orientale. Imperdibile l’inizio di quella che si può definire una delle storie più promettenti degli ultimi anni, già divenuta anime in terra nipponica.

STEFANO CARBONE

sabato 20 marzo 2010

Editoriale marzo 2010

‘Non ci si può fidare di nessuno’. Frase banale e insulsa che, probabilmente più di tutte le stressanti apologie di una nazione che ama più lo scandalo che lo spettacolo in televisione, descrive appieno la realtà che abbiamo davanti agli occhi ogni minuto delle nostre esistenze. Dunque: banalità o realtà?
Anche il solo porci questa domanda dovrebbe farci riflettere in maniera più ponderata. Sarà poi il caso di affidarci completamente a qualcun altro senza remore alcune? Che fine ha fatto il vecchio motto latino “Homo faber fortunae suae” (l’uomo è artefice della propria sorte)?
Non sarà terminato il tempo in cui bisognava accasciare la propria esistenza sul groppone di qualcun altro per poter delegare a lui/lei la colpa o il premio per aver fatto fuori tutte le nostre speranze o aspettative?
Quali prospettive ci sono per il nostro futuro se non siamo noi stessi a crearle e a renderle verosimili?
Ritengo sia arrivato il momento di urlare un clamoroso ‘basta’ alle aspettative verso chicchessia perché rovesci questa situazione ‘palustre’ in cui ci troviamo.
Basta aspettarsi che la politica….anzi che alcuni politici diventino magicamente capaci di non deluderci.
Anzi direi…basta con le aspettative!
Sia chiaro. Questo non vuol essere uno scoraggiamento nei confronti delle prossime elezioni regionali, che sono sacrosanta espressione di democrazia (in quanto tali. Non in quanto a come queste vengono portate avanti), ma ritengo sia il caso di evitare di farci incantare da chicchessia.
‘Non ci si può fidare di nessuno’…..
L’importante, in effetti, non è se questa frase descriva o no la nostra epoca, ma piuttosto perché abbiamo bisogno di affidarci completamente a qualcun altro.
La nostra individualità, tanto a lungo conquistata sia in letteratura che nella nostra società, deve necessariamente essere distrutta in tal maniera?
E non è, del resto, quello che tutte le soap-fiction-trasmissioni ci confermano bombardandoci giorno dopo giorno su qualsiasi emittente della televisione pubblica?
Dobbiamo affidarci completamente. Senza freni di alcun tipo, o le nostre vite saranno piene di dolore e invidia nei confronti degli altri che invece hanno tutto questo. Non c’è altra strada o ti appoggi all’altro o non esisti.
Dobbiamo affidarci. Detto così sembra quasi un messaggio biblico. Eppure il mantenimento di gran parte della propria individualità sia emotiva che mentale (senza eccedere nella misantropia…..a volte) è forse l’unica maniera per mantenere la dignità propria e quella degli altri.
Se non altro in questi anni in cui, se ti affidi, finisci col “culo per terra” basti pensare alla situazione di tutti coloro che affidano il proprio lavoro a gente che poi non fa altro che sfruttare in cambio di una miseria, cosa estremamente diffusa fra i giovani che lavorano, basta guardarsi intorno. O a coloro che si affidano ai politici per essere semplicemente (e giustamente) legalmente rappresentati in parlamento chiedendo in cambio solo un briciolo di serietà e di dignità.
E’ proprio il caso di usare una frase (banale) tanto in voga quando si frequentavano le scuole superiori: «La ditta appoggi è fallita».

E, ahimè…..è proprio realtà!


STEFANO CARBONE

giovedì 18 marzo 2010

Caravaggio di nuovo a Roma

La mostra ci conduce attraverso il percorso storico-artistico del pittore, nato a Milano nel 1571, attraverso un viaggio fra stanze semi illuminate che quasi tendono a suggerirci lo stesso clima che si respira nelle opere di Caravaggio. Ritroviamo alcune fra le sue opere più conosciute: la natura morta del dipinto “Canestro di frutta”, dall’incredibile impatto simbolico e rappresentativo per la minuziosità della sua elaborazione, che rendono questo quadro simile ad una vera e propria fotografia, eppure con qualcosa di più vivo e reale al suo interno; il “Bacco”, opera celeberrima del pittore che unisce elementi di sacro e profano o la “Cena in Emmaus”, caratterizzata da elementi frugali che dimostrano la propensione personale di Caravaggio per le ambientazioni intime e povere. Questa esposizione comprova l’abilità del pittore di saper magistralmente utilizzare la luce in modo quasi teatrale, accoppiato al sapiente utilizzo del drappeggio nei vestiti dei suoi soggetti come prova del suo legame con i temi legati al mondo classico e il prediligere la rappresentazione della realtà così com’è, evitando simbolismi o inutili fronzoli. Venendo a contatto con simili capolavori provenienti dai musei più disparati (dalla National Gallery of Ireland di Dublino alla pinacoteca di Brera) non può non apparire lampante la genialità di quest’uomo, che nella sua vita dimostrò spesso di essere un crocevia di incongruenze e opposizioni sia stilistiche che personali. Fu grande innovatore del simbolismo sacro della sua epoca e autore di opere spesso volte alla pubblica provocazione, divenuto ormai un vero e proprio sinonimo del nostro passato artistico più illuminato.


STEFANO CARBONE


Presso le Scuderie del Quirinale dal 23 Febbraio al 13 Giugno
Orari: Da lunedì a giovedì dalle 9.30 alle 20.00
venerdì dalle 9.30 alle 22.30
sabato dalle 9.00 alle 22.30
domenica dalle 9.00 alle 20.00


Per ulteriori informazioni:

mercoledì 17 marzo 2010

Appuntamento con l'amore

APPUNTAMENTO CON L’AMORE (Valentine’s Day USA 2010) di Garry Marshall con Jessica Alba, Ashton Kutcher, Jennifer Garner, Jessica Biel, Bradley Cooper, Hector Elizondo, Shirley MacLaine, Julia Roberts COMMEDIA SENTIMENTALE – Distribuito in Italia con circa un mese di ritardo rispetto al periodo, per ovvie ragioni, più appropriato per vederlo, “Appuntamento con l’amore” segna il ritorno in grande stile al botteghino di Garry Marshall, uno dei registi di “film leggeri” più apprezzati e remunerativi di Hollywood: a lui si devono infatti titoli come il cult “Pretty woman” che lanciò Julia Roberts, nel cast anche di questo suo ultimo lavoro, “Se scappi ti sposo” e “Pretty Princess”. Messo insieme quindi un gruppo di attori da grandi occasioni, comprendente stelle e stelline provenienti da cinema, tv e musica, ci si era evidentemente proposti di realizzare un’opera leggera dedicata all’amore e al suo giorno per eccellenza: San Valentino, di cui scopriremo anche l’origine in un racconto fatto nel corso del film. Nell’arco della giornata degli innamorati si intrecciano le storie e talvolta i destini sentimentali dei numerosi protagonisti come il fioraio Reed (Asthon Kutcher "Notte brava a Las Vegas"), la maestra Julia (Jennifer Garner "Elektra", "La rivolta delle ex"), la telefonista di linee erotiche e studentessa Liz (Anne Hathaway, scoperta dallo stesso Marshall in “Pretty Princess”), il suo corteggiatore Jason (Topher Grace "Spiderman 3"), il cronista Kelvin (Jamie Foxx "Collateral", "Ray"), il non più giovanissimo Edgar (Hector Elizondo, attore feticcio di Marshall e presente in moltissimi suoi lavori) e sua moglie Estelle (Shirley MacLaine "In her shoes") e persino di due bambini oltre a due coppie di adolescenti tra cui troviamo il Taylor Lautner/Jacob della saga di “Twilight”. Nato sotto ogni possibile buon auspicio, un regista veterano del genere, attorni giovani e meno giovani di bella presenza e buone capacità, lo sfondo di una metropoli brulicante di vita e culture variegate come Los Angeles, questo film risulta però una delusione su più piani e si riprende e fa riprendere lo spettatore dal torpore solo nell’ultima mezz’ora abbondante (su due ore non il massimo....): il cast è ben scelto e gli attori in parte, ma non a tutti è riservato il giusto spazio, vedasi la povera Kathy Bates (“Misery non deve morire”) relegata a mera comparsa, l’amore adolescente è rappresentato soprattutto dalla coppia Willy & Felicia (Taylor Lautner e la cantante country Taylor Swift) che non ne regala certo un’immagine positiva e salvato in parte da quella Grace & Alex (Emma Roberts e Carter Jenkins) che decidono assennatamente di procedere per gradi nella loro relazione. Seguono una serie di storie trite e di banalità condite dall’eccessivo grado di saccarosio che permea l’intera pellicola, in cui tutti continuano incessantemente ad augurare a chiunque un “Buon San Valentino” e a ricordarne l’importanza neanche fosse il giorno di Natale. Si userà così negli USA?
Un’occasione sprecata, l’ennesima di questo 2010 cinematografico, che fa rimpiangere le belle commedie che si producevano in passato –ma anche oggi se ne trovano di buone, basta saper cercare- che però fa ben sperare nel panorama divistico che ci si prospetta in futuro: la graziosa Emma Roberts, nipote di Julia e figlia di suo fratello Eric, è una giovane promessa, Patrick Dempsey (ovvero il dottor Derek Sephard/Stranamore della serie tv “Grey’s Anatomy”) meriterebbe maggior interessamento da parte del mondo del cinema come aveva già dimostrato nel delizioso “Come d’incanto” ed in “Un amore di testimone”, Anne Hathaway si è trasformata in una affascinante giovane donna capace di sedurre con un sorriso ben più di molte sue appariscenti colleghe e Jessica Biel meriterebbe ben più spazio nel mondo del cinema avendo in dote ben più di un bel corpo, come del resto Ashton Kutcher, marito dell’attrice Demi Moore, sempre a suo agio in parti brillanti. Hollywood spesso non è generosa con i suoi attori.

Voto: 5.5/10

CLIZIA GERMINARIO


domenica 14 marzo 2010

'Alice in Wonderland', tu sai perchè un corvo assomiglia ad una scrivania?

ALICE IN WONDERLAND (id., USA 2010) di Tim Burton con Mia Wasikowska, Johnny Depp, Helena Bohnam Carter, Anne Hathaway, Michael Sheen FANTASTICO - Tutti i suoi fan si chiedevano quando sarebbe successo, quando finalmente Tim Burton avrebbe abbandonato il genere del quale è ormai il regista per antonomasia dandoci prova del suo talento in ambiti leggermente diversi.
Dopo anni di onorata carriera e dopo aver ispirato generazioni con i suoi personaggi cupi e psicologicamente sfaccettati, con gli scenari gotici e fiabeschi, con la perenne lotta bene-male, il regista statunitense ritorna a far parlare di sé e della sua ecletticità con ‘Alice in Wonderland’, le rocambolesche vicende di un’Alice (Mia Wasikowska) ormai diciannovenne sempre nel Paese delle meraviglie; scontato dunque che le aspettative fossero alte e che non tutti ne siano rimasti soddisfatti.
Bisogna perciò premettere che questo non è il consueto film burtoniano: qui non c’è nessuno scheletro che vuole sostituire Babbo Natale, nessun barbiere sanguinario né un cavaliere senza testa animato dalla sete di vendetta; è dunque più che normale restare interdetti da una pellicola che non solo è in 3D ma che addirittura affronta temi del tutto diversi e per una volta da una prospettiva di luminosa speranza.
Nonostante questo non sia l’Alice di Lewis Carroll, i caratteri fondamentali della trama e dei personaggi rimangono pressoché invariati, difatti la storia è caratterizzata dagli eccessi: quello del bene nella Regina Bianca (Anne Hathaway "Pretty Princess", "Il diavolo veste Prada"), stucchevole e ammaliante, quello del male nella Regina Rossa, viziata ed egoista, quello della pazzia nel Cappellaio (Johnny Depp "Il mistero di Sleepy Hollow", "Chocolat"), tanto saggio quanto folle.
Burton ha sviluppato la storia in maniera lineare, senza colpi di scena, soffermandosi più su di un adeguato sviluppo caratteriale e psicologico dei personaggi salienti che su di una trama innovativa; particolare rilevo è stato dato al paradosso dei dialoghi, ma anche questo era già insito nel romanzo di Carroll. Il regista aveva infatti dichiarato che il suo obiettivo era quello di discostarsi il meno possibile dall’originale Alice, cosa che nessuna trasposizione cinematografica era sinora riuscita a fare.
In fondo lo scopo del film, oltre a quello di far passare allo spettatore due ore piacevoli in un mondo fantastico, è di far giungere il messaggio dell’assenza dell’impossibile. La stravaganza di Wonderland non è altro che un riflesso preciso di quel caos interiore che certe volte rischia di sopraffarci, quando talvolta sarebbe tanto più semplice e rilassante ballare la deliranza con un affascinante Cappellaio matto o bere del the con il Bianconiglio piuttosto che affrontare la nostra vita, oppure quando tutto quanto ci sembra rovesciato in una maniera sì ridicola ma anche assolutamente inquietante; eppure qualcosa questo strambo mondo può insegnarci, ossia che il confine fra sogno e realtà è labile, ma soprattutto che a definirlo siamo solo noi in quanto protagonisti tanto della nostra quotidianità effettiva che di quella onirica.
Passaggio fondamentale del film è appunto quando Alice rifiuta di obbedire ciecamente a quello che l’oracolo ha predetto per lei per diventare protagonista effettiva della storia e recuperare un po’ di quella ‘moltezza’, che a detta del Cappellaio ha perduto crescendo.
Per ammissione di Burton stesso, era la prima volta che si cimentava in un’opera del genere e tutto sommato ritengo che non sia stato una delusione. È riuscito a dare un suo tocco personale alla storia, un po’ per l’estro deppiano (la scena del ballo della deliranza era fantastica), un po’ per gli effetti speciali ben fatti, pur non modificandola nella sua sostanza.
Nella sua particolarità non è il suo miglior film, ma sinceramente io aspettavo con trepidazione che deviasse da una via che aveva percorso sin troppo a lungo, come ci si aspetta d’altronde da un artista completo e che sa rinnovarsi.
Un gran peccato per l’interpretazione di Mia Wasikowska (Alice), che ho trovato insipida e mal truccata (il suo finto pallore ricordava in maniera inappropriata e ridicola quello degli pseudo vampiri di Twilight!), decisamente inferiore rispetto a quella degli altri attori: l’immortale Depp, l’immancabile Bonham Carter, la sorprendente Hathaway, tutti quanti si sono immedesimati a tal punto nei personaggi che sembrano essere fuoriusciti direttamente dalla mente di Carroll per recitare sul grande schermo un ruolo per loro scontato.
Tuttavia alla fine c’è un altro messaggio, forse più sottile, ma ugualmente importante: Alice ritorna nel suo mondo per adempiere ai suoi doveri e ‘rendere utile la sua vita’, rinunciando alle serene tentatrici della deliranza. Ella è ormai cresciuta e sa dare una giusta prospettiva alle cose, motivo per il quale anche se a malincuore non resta; come è stato per Alice, anche per tutti noi arriva il momento di ridimensionare la realtà, crescere e decidere cosa è sogno e cosa no, cosa lasciarci alle spalle e cosa portare con noi. Perché nulla è impossibile, eccetto sfuggire alla vita, sia essa a Wonderland o no.

Voto: 7.5/10

ALLEGRA GERMINARIO





sabato 13 marzo 2010

'Emmaus' (Baricco), l'evanescenza di un mondo fra perdizione e salvezza.


Con il suo ottavo romanzo Alessandro Baricco si riconferma uno degli autori più innovativi e talentuosi dell’intero panorama letterario italiano e continua, nonostante le critiche aspre che talvolta gli rivolgono, a regalarci opere che sono la perfetta riproduzione di un mondo inesorabilmente intriso di poesia ma anche di incertezza.
‘Emmaus’ si sviluppa sulla storia di Luca, Bobby, Il Santo e di un anonimo narratore, quattro amici adolescenti diversi da quelli che siamo abituati a vedere oggi, ragazzi divisi tra il volontariato e la parrocchia e silenziosi spettatori di un mondo ormai teso verso la perdizione.
È proprio quest’ultimo il tema principale del romanzo: con la crescita, i valori nei quali avevano sempre creduto vanno man mano sgretolandosi in un perenne ma inaspettato confronto con l’adolescenza ‘bene’, rappresentata dalla bellissima quanto controversa Andre, che li porterà a mettere in discussione tutto ciò che sono stati finora e a prendere strade diverse da quelle che avrebbero immaginato. Ne consegue pertanto che il racconto si sviluppi in maniera discendente, partendo da una realtà consolidata e certa che crollerà poi non solo con una lentezza esasperante ma proprio nei suoi punti più solidi.
È distintamente percepibile un’atmosfera di decadenza, forse un richiamo alla visione esiodea della storia, dove lo scontro della mentalità borghese con quella operaia crea un’implosione del microcosmo abitato dai protagonisti; proprio il totale rovesciamento di questa realtà, il suo disgregarsi e l’oscuramento delle virtù sono lo specchio di un fenomeno molto più vasto, che non comprende solo loro ma l’umanità intera.
Baricco appare così intenzionato a ridare importanza al relativismo: difatti nella nostra epoca è sempre più presente la tendenza a classificare in maniera dualistica cose e persone, dimenticando le sfumature e affidandosi a certezze fatue e false per difendersi psicologicamente dall’incertezza connaturata alla vita umana. Baricco, da intellettuale qual è, rigetta evidentemente queste ipocrisie per affrontare e accettare la mutevole forma dell’esistenza.
In maniera del tutto inaspettata, abbandona inoltre quello stile barocco e filosofico sino all’estremo che sinora aveva caratterizzato la sua produzione letteraria - basti leggere Oceanomare, sua migliore opera in assoluto, o ‘Castelli di rabbia’, suo primo romanzo, per notare il cambiamento - . Ciò rende ‘Emmaus’ adatto ad un pubblico più ampio e latore di messaggi facilmente recepibili, ben lontani dall’astrattismo dei precedenti libri.
I personaggi sono estremamente sfaccettati e per tutto il romanzo si continua a scavare loro dentro, analizzandone i demoni interiori e costruendo destini posti in un instabile equilibrio fra il comico e il drammatico; il risultato di questo suo costante lavoro di introspezione è un dipinto particolarmente vivido di un’età delicata come quella di Luca e degli altri, perfetto sia nelle sue luci che nelle sue ombre.
Impossibile non riconoscere, nella deriva di quel mondo e di quei quattro ragazzi, il cammino che percorriamo noi per primi.
ALLEGRA GERMINARIO

giovedì 11 marzo 2010

Torta cocco e Nutella:


-5 uova

-250 g di zucchero

-100 g di farina 00

-50 g di cacao amaro

-150 g di farina di cocco

-100 g di olio extra vergine di oliva

-100 g di latte

-1 bustina di lievito vanigliato

-un pizzico di sale

Per farcire e decorare :

-un barattolo di Nutella


Sbattere le uova con lo zucchero, aggiungere la farina, il cocco, il lievito, il cacao e il pizzico di sale, alternando con il latte e l’olio.
Cuocere a 160° per circa 40 minuti: facendo la ” prova stecchino”, dovrà risultare asciutta ma non secca.
Lasciare raffreddare e dividere in due dischi, farcire con la Nutella, lasciandone un poco per la copertura;
Chiudere e spalmarvi sopra la Nutella lasciata da parte. Spolverare con della farina di cocco.
Consumare preferibilmente il giorno successivo.


CLIZIA GERMINARIO

Codice Genesi


CODICE GENESI (The book of Eli, USA 2010) di Albert ed Allen Hughes con Denzel Washington, Gary Oldman, Mila Kunis, Ray Stevenson, Jennifer Beals, Malcom McDowell AZIONE – Hollywood è sempre stata interessata a raccontare storie futuristiche su un possibile cupo futuro nato dagli errori dell’uomo:
se negli anni ’80 titolo più importante del genere fu il “Terminator” di James Cameron (oggi impegnato in simili fronti con “Avatar”) insieme alla trilogia di “Mad Max”, negli anni Duemila si è giunti alla piaga zombie della saga di “Resident Evil”, alla commedia-horror “Zombieland” e ai mutanti combattuti da Will Smith in “Io sono leggenda”. Su questo filone continua “Codice Genesi” che, agli scenari desertici del terzo capitolo della saga con Milla Jovovich, unisce il classico personaggio dell’eroe solitario che però, a differenza di quello interpretato da Will Smith, si trova a vivere in un mondo ancora abitato, seppur spopolato.
Eli (Denzel Washington) è un combattente solitario che viaggia da 30 anni verso una meta -l’ovest- per compiere una missione: custodisce infatti un libro che contribuirà alla rinascita dell’umanità che molti anni addietro era stata decimata dalle conseguenze di un conflitto che aveva provocato danni anche all’ecosistema. Si troverà presto a fare i conti con Carnegie (Gary Oldman “Dracula di Bram Stoker”), avido e crudele governatore di un piccolo centro abitato, che cerca da tempo un libro che gli è stato detto potrà domare gli animi e accrescere quindi la sua influenza sulle genti e di conseguenza il suo potere. Il despota cercherà dunque, non appena venuto a conoscenza del segreto di Eli, di rubargli il libro che crede essere quello da lui bramato: l’uomo troverà però un’alleata inaspettata nella figlia della donna (Jennifer Beals) del suo antagonista, la bella Solara (Mila Kunis già vista nel brutto “Max Payne”, qui molto Angelina Jolie/Lara Croft).
Il primo film dei fratelli Hughes, dopo il bel “From hell” con Johnny Depp (da noi ribattezzato “La vera storia di Jack lo Squartatore”) datato 2001, presenta una trama interessante seppur ricca di stereotipi (l’eroe solitario, il cattivo monodimensionale, la bella di turno) e la scelta coraggiosa e insolita di virare le immagini al color sabbia, ma delude totalmente nell’insieme. Tutto scorre senza sussulti davanti agli occhi dello spettatore: le poche scene d’azione si risolvono perlopiù nei soliti conflitti a fuoco ed esplosioni già viste e in combattimenti corpo a corpo troppo rapidi per apprezzarne le coreografie (si veda “Ultraviolet” sul tema belle coreografie di combattimento), il protagonista Eli non è diverso -salvo un particolare colpo di scena finale che non risolleva certo l’opera- da tanti altri eroi solitari e silenziosi già visti in molti altri film e Gary Oldman, attore purtroppo valente ma sottoutilizzato e qui una spanna sopra lo statico Washington, fa del suo meglio con il suo Carnegie senza poter influire sullo scarso e a tratti soporifero risultato finale del film.

Voto: 5/10

CLIZIA GERMINARIO


mercoledì 10 marzo 2010

“This is it” di Fabio Santacroce.



Presso l’associazione culturale BLUorG dal 19 febbraio al 15 marzo, si svolge la mostra di Fabio Santacroce; artista barese per nulla sconosciuto alla nostra città col nome di “This is it”. L’artista vuole probabilmente suggerirci la caducità dell’esistenza come dell’arte; significato reperibile nello stesso titolo, tratto da una serie di concerti che un grande artista quale Michal Jackson aveva intenzione di realizzare per terminare la sua carriera d’immortale star della musica pop;progetto, purtroppo rimasto incompiuto poiché Michael è morto durante il periodo di preparazione ad esso. Simbolo, quasi dell’ironia della sorte di un artista ‘invincible’ agli occhi dei suoi fan, ma consumato dalla nostra stessa mortalità. Vita e morte. Citazione e innovazione. Queste le tematiche di una mostra di istallazioni contenenti materiali deteriorabili (capelli, crema idratante, terra) mescolati a materiali sintetici. Contrapposizione di materia soggetta al naturale disfacimento del tempo e non. Santacroce ci conduce attraverso un ideale modello di bellezza; freddo e inaccessibile come ci dimostra la sua scultura, realizzata con della crema idratante circondata un recinto di vetri frantumati; oppure l’omaggio a Marcel Duchamp; un tappeto di capelli raccolti per formare una stella, che riprende lo stesso tema di un’opera dello stesso padre del dadaismo. Le similitudini e le ispirazioni da altri autori o in onere di essi ci danno la possibilità di avvicinarci al cammino personale dell’artista nel suo bagaglio conoscitivo personale, oltre che a fornirci diverse tipologie di interpretazioni delle opere al metà tra il materialismo e la filosofia, come notiamo in una istallazione ove scorgiamo un libro di Milan Kundera; “l’insostenibile leggerezza dell’essere”, che nasconde dietro di sé una mela in pieno disfacimento. Il gioco del senso nascosto nella scultura ci viene suggerito da vari oggetti,non visibili di primo acchito,ma nascosti dietro o all’interno dell’istallazione stessa. Stratagemma che ci dà modo di soffermarci un po’ sul significato dell’opera. Fabio Santacroce, in questa esposizione, esprime tutto lo spirito della fugacità del nostro tempo ormai quasi del tutto digitalizzato.

STEFANO CARBONE

Inaugurazione venerdì 19 febbraio 2010 ore 19.30
Dal 19 febbraio al 15 marzo 2010
Associazione Culturale Galleria BLUorG
aperta al pubblico dal lunedì al sabato.
Orari 10.00 - 13.30 / 17.00 - 20.30
Domenica su appuntamento
Chiusura straordinaria sabato 27 febbraio 2010
Info: BLUorG, Via M. Celentano 92/94, 70121, Bari.
Tel.: +39 080/9904379

martedì 9 marzo 2010

Il ritorno de "Il Fantasma dell'Opera": speculazione o bis del capolavoro?

“Il fantasma dell’Opera”, assieme a Cats e Jesus Christ Superstar, è indubbiamente stato uno dei musical più riusciti e acclamati del famoso compositore inglese Andrew Lloyd Webber; tratto dall’omonimo romanzo novecentesco di Gaston Leroux, rappresenta il tormentato amore di Erik, uomo dalla voce soave ma orribilmente sfigurato,
che vive perciò nascosto nei sotterranei dell’Opera parigina, verso la giovane e promettente cantante Christine: costruitosi la nomea di ‘fantasma dell’Opera’, grazie alla sua conoscenza assoluta dei passaggi segreti della struttura che abita, Erik sarà in grado non solo, se provocato, di causare incidenti durante le rappresentazioni, ma addirittura di rapire Christine per sposarla.
Assistere allo spettacolo dal vivo è decisamente più intenso del semplice leggere il libro o vedere le rappresentazioni cinematografiche (le più recenti di Dario Argento - 1998- e Joel Schumacher -2004-). L’intensità delle canzoni, che di volta in volta riescono a considerare lo spettro completo delle emozioni umane, e la costruzione perfetta delle dinamiche di scena fanno sì che nel buio del teatro la percezione dello spettatore sia quella di trovarsi veramente nel lago sotterraneo dell’Opera. Per chi non ha conosciuto precedentemente la storia da una qualsiasi fonte, come invece è stato per la sottoscritta, l’intero musical è un susseguirsi di colpi di scena nei quali il fantasma riesce ad apparire e scomparire da un punto all’altro del palcoscenico, la nebbia avvolge inaspettatamente la scena, candele sorgono dal pavimento. Gli attori inoltre raggiungono note tali da far venire la pelle d’oca, specialmente nei duetti fra Christine ed Erik (allieva e maestro).
Assistervi poi nell’ambiente sofisticato ed elegante del teatro Her Majesty’s di Londra dà ovviamente un tocco in più a quella che già di per sé è un’esperienza intensissima, riportandoci con l’arredamento e i ritocchi dorati direttamente nella Londra elisabettiana del Seicento.
È attualmente in scena il seguito del suddetto musical, intitolato ‘Love never dies’, nel quale Christine, ormai sposata al bel conte Raoul che già aveva conteso il suo amore ad Erik, ed il fantasma si ritrovano stavolta in America.
Quando ho appreso per la prima volta la notizia, non ho potuto fare a meno di pensare ad un’ennesima manovra commerciale su di una storia indubbiamente affascinante ma sulla quale si sta forse speculando troppo; i miei peggiori sospetti sono stati confermati quando ho letto [SPOILER. SE SI INTENDE VEDERE IL MUSICAL, NON CONTINUARE A LEGGERE] che il figlio di Christine e Raoul si scoprirà essere in verità di Erik, cosa alquanto improbabile e contraddittoria, dato che l'idea di sfiorare Erik era ben lontana da Christine, ripugnata dalla sua bruttezza: fra di loro vi fu un unico bacio, casto e leggerissimo, che convinse poi il fantasma a lasciarla libera con Raoul. Perché, dunque, quest’assurdità degna delle migliori telenovelas sudamericane? Perché rovinare una storia così pura di amore incondizionato inculcando una tremenda visione dei due intenti a fornicare, quando il desiderio mai esaudito di Erik ed il conflitto interiore di Christine erano stati alla base dell’intera opera? Forse Webber ha un mutuo da pagare, come tutti noi, forse il suo estro creativo non riesce ad essere tenuto a bada. [FINE SPOILER]
Lasciando perdere gli spoiler, le critiche sono positive e si parla di melodie commoventi, quindi può anche essere che il mio sia solo cinismo dovuto ad un eccessivo amore verso questo musical e ad una ritrosia ad accettarne un seguito. Webber di rado delude, quindi andrà prenotato al più presto un volo per Londra per confermarlo.
Nel frattempo il sito ufficiale del musical, http://www.loveneverdies.com/, è l’ideale per poter ascoltare alcune canzoni e conoscere il cast e la storia, oltre al singolo ufficiale da poco uscito “Til' I hear you sing”.
ALLEGRA GERMINARIO

Wolfman

WOLFMAN (The Wolfman USA, Uk 2010) di Joe Johnston con Benicio Del Toro, Anthony Hopkins, Emily Blunt, Hugo Weaving HORROR - “A volte ritornano” è il titolo italiano di una raccolta di racconti dell’orrore di Stephen King: così è anche per i nostri amici mostri che a Hollywood sembrano ritornare ciclicamente in auge, senza però pestarsi i piedi vicendevolmente. Un revival insomma di vampiri, zombie e adesso di licantropi (ma già si vocifera del ritorno del mostro di Frankenstein) che, complici forse i successi delle saghe di “Underworld” e “Twilight”, dove erano solo coprotagonisti, si accingono a diventare i veri protagonisti di alcune pellicole a venire. Di questo nuovo filone che ripescherà dal cilindro “Un lupo mannaro americano a Londra” e “L’ululato” fa parte questo “Wolfman” per la regia di Joe Johnston (“Jurassic Park 3”) che riprende la trama del classico degli anni ’30 e cerca di trasporla adattandola ai gusti del pubblico odierno, strizzando l’occhio in particolare ai teenagers.
Dopo aver ricevuto notizia della cruenta e misteriosa morte del fratello, Lawrence Talbot (Benicio Del Toro), fa ritorno nel natio paesino della piovosa Inghilterra per rendergli omaggio e per fare chiarezza nella vicenda: si ritrova a fare i conti con l’inesistente rapporto con il padre (Anthony Hopkins) e a conoscere quella che era la promessa sposa del fratello, la bella Gwen (Emily Blunt “Il diavolo veste Prada”). Durante le indagini viene però aggredito da una bestia sconosciuta che lo morde e lo infetta, facendolo diventare a sua volta un licantropo. Lawrence, ignaro del peso che grava sulla sua testa, si accorge presto di essere diventato un essere sanguinario nelle notti di luna piena e con lui se ne accorgono anche i suoi compaesani che non esitano a spedirlo in un manicomio, luogo in cui l’uomo era già stato molti anni prima, a causa dell’oscuro passato che avvolge la storia dalla sua famiglia e che non tarderà a ritornare. Sulle sue tracce, prima e dopo l’internamento, l’ispettore Francis Abberline (Hugo Weaving “Matrix”), già coinvolto nelle indagini sul caso di Jack Lo Squartatore.
Con un budget lievitato a 150 milioni di dollari e dopo una serie di traversie produttive sfociate in più di un rimando di uscita in sala dalle ragioni ancora poco chiare, è venuto fuori un film dai toni altalenanti e che non riesce a trovare uno stile ben preciso: la drammaticità della scoperta di essere diventato un mostro assetato di sangue di Lawrence, il suo tormentato rapporto con il padre e il sentimento nascente per Gwen, mal si conciliano con scene splatter degne dei peggiori horror di bassa lega (budella e arti recisi a iosa) e a un make up della creatura francamente poco spaventoso e pericolosamente tendente al ridicolo, nonostante l’apporto del mago del trucco Rick Baker, unito anche ad alcuni malriusciti effetti digitali. Attori poco convinti e convincenti ad eccezione del sornione Hopkins, unico a brillare in un cast scialbo, seppur ben scelto, ma menzione d’onore merità però la magnifica trasformazione digitale di Del Toro che quasi varrebbe da sola il prezzo del biglietto, non fosse facilmente reperibile su youtube. Film dimenticabile dunque ed ennesima dimostrazione che spesso risulta migliore il trailer del prodotto finale e che la speranza di vedere un buon film horror, drammatico e serio, come fu il “Dracula” di Francis Ford Coppola, è sempre più vana.


Voto: 6.5/10

CLIZIA GERMINARIO


Che fine hanno fatto i Morgan?

CHE FINE HANNO FATTO I MORGAN? (Did you hear about the Morgans?, USA 2009) di Marc Lawrence con Hugh Grant, Sarah Jessica Parker, Mary Steenburgen, Sam Elliott, Michael Kelly COMMEDIA - A quasi tre anni di distanza dall’ultimo film, “Scrivimi una canzone” in cui faceva coppia con Drew Barrymore, Hugh Grant torna nelle sale con una commedia che non contribuisce certo ad arricchire positivamente la sua carriera di stella del cinema specializzata in commedie sentimentali e giunta al successo proprio con un film appartenente a questa categoria: il popolarissimo “Quattro matrimoni e un funerale”.
Paul e Meryl Morgan (Hugh Grant e Sarah “Sex and the city” Jessica Parker) sono due coniugi da poco separati e appartenenti all’alta società newyorkese che si trovano, per aver assistito involontariamente ad un omicidio, a dover essere sottoposti ad un programma di protezione testimoni che li porterà ad una convivenza forzata in uno sperduto paesino del Wyoming, terra di vacche e cowboy. Qui a Ray, piccola cittadina senza neppure un centro commerciale e con un solo ristorante, soggiorneranno a casa dello sceriffo Clay (Sam Elliott) e di sua moglie Emma (Mary Steenburgen), faranno conoscenza con i vari personaggi più o meno bizzarri che abitano la zona e si confronteranno con le avversità della vita di campagna, ignari dell’ombra minacciosa del killer (Michael Kelly), autore del succitato omicidio, che li sta ancora cercando per evitare testimonianze a suo sfavore. Premesse dunque interessanti grazie al vetusto, ma sempre attuale e possibile fonte di divertimento, tema del confronto cittadini/campagnoli (vedi anche “Scappo dalla città” con Billy Crystal) e ad un’intrigante ed inedita coppia di protagonisti esperti in ruoli frizzanti che però fallisce il bersaglio per colpa di una sceneggiatura risaputa e senza guizzi e dei caratteristi ben al di sotto di altri prodotti scacciapensieri analoghi. Eppure a fine visione non è difficile avvertire una sensazione di fastidio per la buona occasione persa, acuita anche dall’eccessivo buonismo in cui piomba inesorabilmente –e a tratti ridicolmente- il finale, anche dovuta ad una sensazione di deja vu come nel momento in cui, per sfuggire al killer, Meryl si trova a dover uscire dalla finestra dell’hotel in cui alloggia in attesa del trasferimento e a dover rimanere sospesa nel vuoto alla ricerca di una finestra dalla quale poter rientrare: scena tristemente simile a quella presente nel bel “Due nel mirino” con Goldie Hawn e Mel Gibson, commedia d’azione di John Badham datata 1990, come se ormai fosse normale riciclare vecchie seppur buone trovate comiche. Sul tema programmi di protezione e cambi di identità è infine dunque decisamente meglio ripensare al divertente e poco zuccherino “FBI protezione testimoni” con Bruce Willis, per sperare che Hollywood ritorni a regalarci prodotti innocui ma con un minimo di pepe.

Voto: 6/10

CLIZIA GERMINARIO


I vincitori degli Oscar 2010


Oscar 2010: ecco i vincitori

Miglior film:
The Hurt Locker
Miglior attore protagonista:
Jeff Bridges (Crazy Heart)
Miglior attrice protagonista:
Sandra Bullock (The Blind Side)
Miglior attore non protagonista:
Christoph Waltz (Bastardi senza gloria)
Miglior attrice non protagonista:
Mo’nique (Precious)
Miglior regia:
Kathryn Bigelow (The Hurt Locker)
Miglior cartone animato:
Up
Miglior canzone originale:
The Weary Kind (Crazy Heart)
Miglior sceneggiatura originale:
The Hurt Locker
Miglior cortometraggio d’animazione:
Logorama
Miglior cortometraggio-documentario:
Music by Prudence
Miglior cortometraggio:
The New Tenants
Miglior makeup:
Star Trek
Miglior sceneggiatura non originale:
Precious
Migliori scenografie:
Avatar
Migliori costumi:
The Young Victoria
Miglior montaggio effetti sonori:
The Hurt Locker
Miglior sonoro:
The Hurt Locker
Miglior direzione della fotografia:
Avatar
Migliori musiche:
Up
Migliori effetti visivi:
Avatar
Miglior documentario:
The Cove
Miglior montaggio:
The Hurt Locker
Miglior film straniero:
The Secret in Their Eyes (Argentina)


CLIZIA GERMINARIO

venerdì 5 marzo 2010

Concerto Spandau Ballet



Lo scorso 2 Marzo presso l’arena palalottomatica di Roma, hanno deliziato il pubblico italiano con la loro squisita esibizione ‘live’ gli Spandau Ballet in una delle date del loro tour che tocca tre città italiane per poi proseguire in tutto il mondo. Non una semplice ‘reunion’ del gruppo, ma una vera e propria riforma di esso (come evidenzia lo stesso nome dato al tour 2010:’reformation’).La formazione è quella classica: Gary Kemp(chitarra), Martin Kemp(basso), Steve Norman (sassofono e percussioni), Tony Hadley (Voce), John Keeble (batteria), Toby Chapman( tastiera), ma la musica è tutta nuova.
Gli Spandau danno prova della loro impressionante versatilità musicale utilizzando nuovi ritmi per i loro più grandi successi. Non bisogna farsi ingannare dal loro ultimo cd: ”Once more” un ‘best of’ con un inedito che da’, appunto,titolo al loro ultimo lavoro, caratterizzato da sonorità più acustiche. L’esibizione dal vivo del gruppo è caratterizzata da un’impronta rock che dimostra tutta l’energia che le canzoni di questo gruppo, nato nei ruggenti anni 80’, riesce a trasmettere persino a tanti anni di distanza. Un’energia tutta rinnovata, moderna e per nulla acerba, ed anche per questo apprezzabile da un punto di vista tecnico. L’utilizzo di uno schermo gigante per proiettare le immagini della stessa esibizione o di vecchi video, a seconda delle esigenze, accoppiati ad una regia magistrale acuiscono l’effetto di enorme impatto comunicativo del gruppo. Ultimo, ma non ultimo, elemento vincente di questo spettacolo è di certo la coesione che il gruppo dimostra di avere sul palco, cosa che da’ a tutti i suoi membri la giusta visibilità nonostante il numero dei suoi componenti non sia esiguo.

La band formatasi nel 1976 all’epoca col nome “The cut” segue una lunga evoluzione musicale fino a diventare uno degli esponenti del nuovo genere musicale nascente verso l’inizio degli anni 80’ il “New Romanticism” caratterizzato da melodie ballabili e la predilezione per sound elettronici ma anche soul come ci dimostra l’uso costante del sax in molti dei gruppi di questo periodo. A partire dal 1980 gli Spandau Ballet (nome ispirato da un graffito che videro proprio nel quartiere berlinese di Spandau) pubblicano album le quali tack entrano da subito nelle top ten di tutta Europa acquistando un consenso tra il pubblico fino al 1989 con la pubblicazione dell’album “Heart like a sky” che non viene molto apprezzato probabilmente perché il sound tipico degli anni 80’ va via via affievolendosi per far spazio ai nuovi generi che domineranno il panorama musicale degli anni successivi.
Dopo varie vicissitudini legali e non nel marzo dello scorso anno il gruppo ha finalmente deciso di riallacciare i vecchi legami e riproporsi al grande pubblico che lo ha accolto con caldo entusiasmo in queste stesse date italiane, premiando la loro bravura innegabile di musicisti professionisti.

STEFANO CARBONE


Sito ufficiale:

Oscar 2010


Oscar 2010: al via all’82esima edizione

MIGLIOR FILM
A Serious Man
An Education
Avatar
Bastardi senza gloria
District 9
Precious
The Blind Side
The Hurt Locker
Tra le nuvole
Up
MIGLIOR REGIA
James Cameron per Avatar
Quentin Tarantino per Bastardi senza gloria
Lee Daniels per Precious
Kathryn Bigelow per The Hurt Locker
Jason Reitman per Tra le nuvole
MIGLIORE ATTORE PROTAGONISTA
Colin Firth per A Single Man
Jeff Bridges per Crazy Heart
Morgan Freeman per Invictus
Jeremy Renner per The Hurt Locker
George Clooney per Tra le nuvole
MIGLIORE ATTRICE PROTAGONISTA
Carey Mulligan per An Education
Meryl Streep per Julie & Julia
Gabourey ‘Gabby’ Sidibe per Precious
Sandra Bullock per The Blind Side
Helen Mirren per The Last Station
MIGLIORE ATTORE NON PROTAGONISTA
Stanley Tucci per Amabili resti
Christoph Waltz per Bastardi senza gloria
Matt Damon per Invictus
Christopher Plummer per The Last Station
Woody Harrelson per The Messenger
MIGLIORE ATTRICE NON PROTAGONISTA
Maggie Gyllenhaal per Crazy Heart
Penelope Cruz per Nine
Mo’Nique per Precious
Anna Kendrick per Tra le nuvole
Vera Farmiga per Tra le nuvole
MIGLIORE SCENEGGIATURA ORIGINALE
Ethan Coen e Joel Coen per A Serious Man
Quentin Tarantino per Bastardi senza gloria
Mark Boal per The Hurt Locker
Alessandro Camon e Oren Moverman per The Messenger
Pete Docter, Bob Peterson e Thomas McCarthy per Up
MIGLIORE SCENEGGIATURA NON ORIGINALE
Nick Hornby per An Education
Neill Blomkamp e Terri Tatchell per District 9
Jesse Armstrong, Simon Blackwell, Armando Iannucci e Tony Roche per In the Loop
Geoffrey Fletcher per Precious
Jason Reitman e Sheldon Turner per Tra le nuvole
MIGLIOR FOTOGRAFIA
Mauro Fiore per Avatar
Robert Richardson per Bastardi senza gloria
Bruno Delbonnel per Harry Potter e il principe mezzosangue
Christian Berger per Il nastro bianco
Barry Ackroyd per The Hurt Locker
MIGLIOR MONTAGGIO
Stephen E. Rivkin, John Refoua e James Cameron per Avatar
Sally Menke per Bastardi senza gloria
Julian Clarke per District 9
Joe Klotz per Precious
Chris Innis e Bob Murawski per The Hurt Locker
MIGLIOR SCENOGRAFIA
Rick Carter, Robert Stromberg e Kim Sinclair per Avatar
John Myhre e Gordon Sim per Nine
Anastasia Masaro per Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo
Sarah Greenwood e Katie Spencer per Sherlock Holmes
Patrice Vermette e Maggie Gray per The Young Victoria
MIGLIORI COSTUMI
Janet Patterson per Bright Star
Catherine Leterrier per Coco avant Chanel – L’amore prima del mito
Colleen Atwood per Nine
Monique Prudhomme per Parnassus – L’uomo che voleva ingannare il diavolo
Sandy Powell per The Young Victoria
MIGLIOR COLONNA SONORA ORIGINALE
James Horner per Avatar
Alexandre Desplat per Fantastic Mr. Fox
Hans Zimmer per Sherlock Holmes
Marco Beltrami per The Hurt Locker
Michael Giacchino per Up
MIGLIOR CANZONE ORIGINALE
T-Bone Burnett e Ryan Bingham per Crazy Heart
( “‘The Weary Kind’” )
Faubourg 36
( “‘Loin de Paname’” )
Randy Newman per La principessa e il ranocchio
( “‘Almost There’” )
Randy Newman per La principessa e il ranocchio
( “‘Down in New Orleans’” )
Maury Yeston per Nine
( “‘Take It All’” )
MIGLIOR TRUCCO
Aldo Signoretti e Vittorio Sodano per Il Divo
Star Trek
Jenny Shircore per The Young Victoria
MIGLIOR SONORO
Avatar
Bastardi senza gloria
Star Trek
The Hurt Locker
Transformers – La vendetta del caduto
MIGLIOR MONTAGGIO SONORO
Avatar
Bastardi senza gloria
Star Trek
The Hurt Locker
Up
MIGLIORI EFFETTI SPECIALI
Avatar
District 9
Star Trek
MIGLIOR FILM D’ANIMAZIONE
Brendan and the Secret of Kells
Coraline e la porta magica
Fantastic Mr. Fox
La principessa e il ranocchio
Up
MIGLIOR FILM STRANIERO
Ajami
El secreto de sus ojos
Il canto di Paloma
Il nastro bianco
Il profeta
MIGLIOR DOCUMENTARIO
Lise Lense-Møller per Burma VJ: Reporting from a Closed Country
Food, Inc.
Paula DuPré Pesman e Fisher Stevens per The Cove
The Most Dangerous Man in America: Daniel Ellsberg and the Pentagon Papers
Which Way Home
OSCAR ALLA CARRIERA
Gordon Willis
Lauren Bacall
Roger Corman

Le ambite statuette verranno assegnate nel corso della consueta cerimonia che si terrà al Kodak Theatre di Los Angeles il 7 marzo e che avrà come conduttori gli attori Steve Martin (“Ho sposato un fantasma”, “Un ciclone in famiglia”) e Alec Baldwin (“Beetlejuice”, “Caccia a ottobre rosso”).

CLIZIA GERMINARIO