lunedì 15 febbraio 2010

Screamworks: love in theory and practice


Dopo tre anni di attesa gli HIM, acclamati iniziatori del love metal, ritornano con il loro settimo lavoro, ‘Screamworks: love in theory and practice, chapters 1-13’, che ormai da mesi veniva entusiasticamente pubblicizzato dai membri stessi della band come ‘il loro miglior album’; abbandonato il sound cupo e i testi decisamente melanconici di Venus Doom (2007), i rocker finnici hanno optato per un ritorno a quei suoni poppy e più delicati che avevano invece caratterizzato Razorblade Romance (2000) con un’attenzione decisamente maggiore alla creazione di melodie catturanti ed una ripetizione – talvolta a dire il vero eccessiva- dei ritornelli.
Se qualcuno dei fan si aspettava o perlomeno desiderava un ritorno alle origini primitive della band, per esempio all’ormai remoto Greatest lovesongs vol. 666, oppure un album sulla linea di ‘Venus Doom’, resterà deluso. Il tema centrale delle canzoni è sempre l’amore in tutta la sua intensità, con tutte le sue gioie ed i suoi dolori, perennemente unito ma anche legato in maniera indissolubile alla morte, portatore di paradiso e di inferno, ma la prospettiva dal quale lo si affronta è più ottimistica e luminosa: difatti non troviamo più il Valo che canta il suo dissanguarsi per motivi insani (Bleed Well, nda), ma c’è invece un Valo che intona in modo decisamente dolce e struggente ‘I am not afraid to admit I adore you’ (Scared to death, nda). Insomma, l’amore ancora spaventa, ancora fa male, ma s’intravede una speranza, un’elevazione rispetto a quel nero nel quale era immerso prima. Dal punto di vista puramente stilistico si presenta come un album energico, caratterizzato da un largo uso di batteria e di riff di chitarra, grintoso quindi non solo nei messaggi che dà ma anche nel sound.
Nel complesso non è affatto il miglior lavoro della band, primato che ritengo estraneo anche allo stesso ‘Razorblade romance’, ma ci sono nel mezzo delle vere e proprie perle di love metal ed i testi restano sempre un piacere da leggere nella loro profondità. Rilevante è stata l’influenza del produttore Matt Squire (The Used, Panic! At The Disco, All Time Low) conosciuto soprattutto per produrre power pop e per il suo talento nello scoprire underground bands.
Fra tutte le canzoni, sono notevoli ‘In venere veritas’, brano di apertura che spinge a non temere l’amore e le sue ferite insanabili, ‘Disarm me (with your loneliness)’, canzone dolcissima su un amore doloroso ma che si vorrebbe non avesse comunque fine, e ‘Shatter me with hope’, che incita a guardare avanti e ad amare sempre di più. Sorprendente è invece la track conclusiva, ‘The foreboding sense of impending happiness’, completamente diversa dalle precedenti, che colpisce per la sua cadenza e per l’effetto che produce l’unione della voce del Valo con gli strumenti musicali. È però dovuto un giudizio negativo su ‘Heartkiller’, inspiegabilmente scelta come singolo di apertura nonostante sia la più insipida delle tredici tracks, piacevole ad ascoltarsi per la sua musicalità ma di gran lunga inferiore ai loro standard.
Tutti i fan saranno lieti di notare come il tenore di vita più salutare adottato dal frontman, che ha finalmente ridotto il consumo di sigarette e superato la dipendenza dall’alcool, abbia influito in maniera notevolmente positiva sulla sua voce baritonale: Ville appare difatti di nuovo in grado di raggiungere tanto toni gravi quanto toni più alti senza la minima difficoltà, cosa che aveva evitato negli ultimi lavori e che gli aveva causato considerevoli difficoltà nei live, eppure questa sua grande conquista non è stata adeguatamente valorizzata in quanto solo in saltuari momenti dà prova della sua eccezionale estensione vocale recuperata.
Non è un ritorno in grande stile come forse la maggior parte di noi aveva sperato, bensì un album gradevole da ascoltare, che è la perfetta sintesi del love metal e del senso dell’heartagram (loro simbolo, nda), ottimo per spezzare la monotonia delle giornate e per farci sentire meno soli con le nostre emozioni.
Tutto sommato, quindi, sono sempre le nostre maestà infernali.

Voto: 7/10

ALLEGRA GERMINARIO