domenica 21 febbraio 2010

Dylan Dog

Nell’immensa varietà che compone la scena del fumetto italiano, forse “Dylan Dog” è l’unico ad essere giustamente considerato il legittimo successore di “Tex”: esso infatti, creato da Tiziano Sclavi nel 1986, è diventato con rapidità schiacciante un vero e proprio cult nell’arco di trenta numeri o poco più. Le ragioni del suo sconfinato successo che attraversa le barriere generazionali dipendono sicuramente dalla maestria del suo autore, ma anche dalla forza e dall’impatto sociale dei suoi personaggi, che consentono al fumetto di mostrare al lettore un dinamico spaccato della nostra realtà sociale.
Sclavi e i suoi collaboratori hanno fatto in modo già dall’inizio di dare al fumetto un’impronta horror-splatter, ma a questo abbozzo, che per lo più notiamo nei primi numeri, anche per le “inquadrature” con cui l’autore ci mostra personaggi e situazioni (illustrazioni degne di un vero e proprio regista) viene affiancato anche un elemento vincente che renderà quest’opera un vero e proprio capolavoro. Dylan Dog non è solo un cercatore di mostri: è ‘l’indagatore dell’incubo’. L’uomo cui rivolgersi quando ogni altra indagine regolare è inefficace. Lo «strano» è dunque il pane quotidiano del protagonista che non cerca mai di giudicare il caso affidatogli. Non c’è netta separazione fra regno dell’orrore (mostri, demoni, fantasmi, ecc.) e realtà (assassini, maniaci, psicopatici ecc.). Dylan sa che c’è qualcosa che va aldilà della ragione (il suo “quinto senso e mezzo”), della semplice procedura investigativa di Scotland Yard, ma non la etichetta. Il confine fra reale e orrore è dunque sottile e i cattivi, a volte mostri, ma spessissimo semplici uomini, ci appaiono come simboli di mali sociali. Povertà, abbandono, violenza subìta o inferta per puro gusto sadico prende forma di mostri, streghe, zombie. In poche parole incubi. Neppure Dylan è immune dal male del mondo. Spesso nelle storie è coinvolto personalmente dal male che combatte, del resto anche lui come noi è un eroe imperfetto. Ha attraversato una zona d’ombra del suo animo. Egli è, infatti un ex alcolista ora astemio e per di più vegetariano. Sinonimo, probabilmente, del fatto che non si può comprendere l’oscurità senza esserci passati. Dylan cerca nei suoi casi di risolvere problematiche che sono sì al di fuori della sfera del reale, ma che ci conducono a veri problemi che non hanno volto materiale, come nel recentissimo “Mater Morbi” (n.280) nel quale affronta uno dei mali più oscuri e odiati dall’uomo: la malattia. Prendendo forma e persino una personalità, il male apre la strada a infinite riflessioni sulla realtà che ci circonda, spesso crudele e difficile come appare nei fumetti. Dylan cerca di risolvere al meglio la situazione volta per volta, ma una vera risoluzione non c’è mai. Si può solo, alla fine di ogni storia, percepire parte di una verità più grande di sé, quella della vita. Anzi le verità. Poiché non vi è una sola risposta, ma molteplici e spesso incoerenti. Come nel mondo reale.
L’amore è un altro filo conduttore di tutte le narrazioni: spesso, infatti, le bellissime donne che Dylan incontra nelle sue storie finiscono a letto con lu, ma non si pensi che sia dongiovannismo ad animare le azioni del protagonista di questo fumetto. Egli cerca uno scampo dalla realtà schiacciante che lo circonda, il raggiungimento di attimi di intima serenità nel caos della realtà. L’amore è simile ad un attimo di raccoglimento religioso che, come spesso accade, alla fine cede il passo alla realtà che comporta la separazione delle strade di Dylan e dei suoi amori.
Un’altra figura chiave del fumetto è senza dubbio il fido assistente di Dylan: Groucho. Esattamente come il suo capo assomiglia a Rupert Everett, Groucho è identico sia caratterialmente che fisicamente al comico Groucho Marx, ciò consente agli autori di dare alla vicenda un respiro comico, respiro che Groucho ci consente di tirare ogni volta che per una ragione sempre banale e tuttavia sempre ponderata e geniale, azzarda rocambolesche battute di comicità spicciola, ma quasi per contrasto con la storia portante, sempre apprezzata dal lettore che non può che affezionarsi a questo personaggio chiave della storia.
Senz’altro quest’opera, entrata ormai nell’immaginario collettivo, ha in sé contenuti e riferimenti che continuamente gli autori, da sempre capaci di creare storie nuove e appassionanti, fanno in onore di artisti di rilievo del calibro di De Andrè, i quali testi vengono spesso citati in opere magistrali come “Memorie dell’invisibile”, ma ancora più frequenti sono i rimandi a libri, film e quadri cari a Sclavi che ora cura solamente le storie di una delle sue creazioni più riuscite che non ha mai perso lo slancio che la caratterizza. Questo è uno dei motivi che porteranno Dylan Dog a diventare una vera e propria opera d’arte nell’universo della letteratura a fumetti contemporanea, oltre che per il significativo e determinante lavoro dei suoi disegnatori.

STEFANO CARBONE