Nata a Milano il 21 Marzo del 1931, Alda Merini viene presto scoperta da Giancarlo Spagnoletti che ne apprezza da subito l’opera poetica che in una prima fase si interroga sinceramente su sé stessa e ciò dona una forza enorme alle sue liriche. Non vi è quasi separazione fra vissuto della poetessa e poesia: l’uno richiama l’altro. Allo stesso tempo il sogno, le epifanie e le allegorie si intrecciano a riferimenti di vita reale amalgamandosi perfettamente e conferendo ai componimenti immagini vertiginose che ci consentono di indagare nell’animo umano con una sorta di misticismo che solo l’opera della Merini può mostrarci in tutta la sua grandezza. Essa utilizza, inoltre,allegorie che rimandano alla cristianità, consentendoci un confronto con la schiacciante verità del nostro mondo. ”La terra santa” edita nel 1984 è esempio perfetto di questo tipo di simbolismo, già presente in precedenti opere della Merini. Questo lavoro,il più celebre della poetessa, nonché suo capolavoro, contiene nenie, poesie ed epifanie riferite al periodo che trascorse nel manicomio Paolo Pini dal 1967 al 1972, come lei stessa afferma nel successivo lavoro in prosa “L’altra verità. Diario di una diversa”, nel quale commenta la sua stessa opera. Nel manicomio, ove la voce del pazzo, sia essa portatrice di follia o di genialità, viene ridotta al silenzio, la poetessa viene spogliata di sé stessa attraverso l’esperienza della nudità che non è semplicemente fisica. O meglio lo è. Difatti venendo spogliati degli abiti, che ci rappresentano poiché nostro retaggio storico, perdiamo noi stessi, diventando solo oggetto clinico. Attraverso la visione di ‘noi’ come oggetti, l’altro, il medico, può per mezzo dell’ ’osservazione’ guarirci con una terapia. Il termine non è utilizzato a caso visto che la vista è da sempre utilizzata come senso peculiare dell’ambito scientifico, si pensi al celeberrimo racconto di E.T.A.Hoffmann ‘L’uomo della sabbia’ scritto durante il romanticismo tedesco nel quale è a causa della visione eccessivamente scientifica del mondo che il professor Spallanzani crea una bambola dai tratti umani, sinonimo della scienza che cerca di sostituire in laboratorio la natura da cui l’uomo moderno si allontana sempre più. Allo stesso modo,nel caso della poesia della Merini,in quanto caso clinico, il medico vedendoci solo come oggetto di osservazione in modo da non essere coinvolto con la nostra vicenda personale, antitesi del pensiero scientifico, veniamo restituiti a noi stessi partendo dal corpo. Dalla nudità. Chiaro, in questa magistrale opera della poetessa il sinonimo amore-peccato originale che porta verso il baratro della follia. Attraverso il manicomio possiamo ripartire da zero. Eppure esso è anche uno «spazio» dove affiorano momenti di «luce» e «inferno», intrinsechi nella natura umana (come afferma la stessa autrice), per questo la degenza in manicomio diventa sinonimo di deportazione. Come durante l’olocausto, immagine che verrà utilizzata nel componimento che porta l’omonimo nome dell’opera, proprio perché ci viene negata la nostra memoria storica per venire analizzati come oggetti. Queste crude immagini danno alla poesia di Alda Merini una forza inimmaginabile che ci conduce attraverso i ricordi della poetessa.
Ma la sua opera non fonda unicamente su episodi di dolore: è l’amore che viene celebrato. Esso è visto come agitato, difficile, come sentimento che scava nelle profondità del nostro essere per portare scompiglio; ma anche come messaggio salvifico, nostalgia e anche sinonimo di forza e sicurezza. L’amore è esaltato con allegorie bibliche, ma a volte che rimandano al mondo classico(come in “Titano,amori contro”) e che sempre ci rimandano alla vita della poetessa.
Lo stile della Merini è pressoché unico nella poesia contemporanea, proprio perché la poetessa spesso prediligeva l’improvvisazione alla scrittura dei suoi testi e spesso,infatti dettava a qualcuno le sue poesie in modo da poter dare uno slancio comunicativo maggiore rispetto alla poesia scritta di suo pugno. La predilezione per l’oralità palesa l’enfasi della creazione poetica della Merini che sempre utilizzò questa modalità compositiva: da ciò si comprenda il motivo per il quale molti dei suoi testi inediti non vennero mai pubblicati ma che tuttora sono reperibili presso l’università di Pavia per consultazione, era necessario separare alcuni componimenti di minor peso dai versi eccelsi.
La Merini ebbe un buon rapporto con la Puglia, in particolare con la città di Taranto ove dimorò dopo il matrimonio col poeta tarantino Michele Pierri nel 1983 dopo la morte del primo marito, Ettore Carniti. In questo periodo scrive “La gazza ladra” una raccolta di poesie contenente ritratti poetici di artisti di grande rilievo del mondo antico e moderno.
Successivamente torna nella città che gli ha dato i natali e che più di ogni altra ama: Milano, dove dopo un periodo di difficoltà riprende contatti col mondo letterario e a scrivere. Affronta temi quali la donna, vista al contempo con connotazioni erotiche e materne, ma anche l’ansia e la paura del futuro.
Le sue opere sono raccolte in vari volumi, ma le edizioni originali che costituiscono in libretti contenenti pochi componimenti a tiratura limitatissima (alcuni constano in non più di trenta copie per libretto) pubblicate dalla casa editrice Pulcinoelefante, sono veri e propri cimeli; alcuni editi negli anni novanta e contenenti aforismi, sono un lampante esempio di incontro fra poesia e arti belle, poiché illustrate da pittori o artisti di rilievo e costituiscono perlopiù un ‘unicum’. Non sappiamo se la produzione di volumi del genere sia stata una scelta editoriale o della stessa Merini, tuttavia fu sicuramente una scelta editoriale coraggiosa e di un enorme rilievo artistico.
Inutile enumerare i prestigiosi premi letterari conferiti alla Merini o la candidatura al premio Nobel per la poesia nel 2001, neppure questi fanno giustizia alla sua grandezza. Lei che riteneva il lavoro del poeta inutile di fronte regole sociali umane e che la vita non potesse mai risarcirli pienamente, che soleva ricopiare alcuni suoi componimenti su una storica macchina da scrivere senza nastro con lettere che picchiavano direttamente sulla carta, è stata di certo una delle poetesse più grandi e profonde che abbiano solcato il nostro tempo, baluardo di una poesia e di un’epoca che non tornerà più.
(Alda Merini si è spenta il primo novembre 2009).
STEFANO CARBONE